Cosenza, l’Amaco cade sotto i colpi incrociati dei creditori
Dall'Agenzia delle entrate all'Inail, passando per avvocati e lavoratori: in tanti avevano ottimi motivi per staccare la spina. Ecco cosa dice la sentenza
Troppi creditori, ognuno dei quali portatore di interessi diversi e, a volte, confliggenti tra loro. E’ per questo che è affondata l’Amaco: sotto i colpi di debiti ormai debordanti (oltre sedici milioni di euro) e, più in generale, perché le prospettive di poter superare la crisi erano completamente assenti. La società di trasporti del Comune di Cosenza è destinata, dunque, al fallimento. Non ammette altra possibilità, la sentenza d’appello del Tribunale civile di Catanzaro che, nelle scorse ore, ha respinto il reclamo presentato dal legale rappresentante dell’azienda.
E’ stato un tentativo in extremis di cancellare il verdetto di primo grado, pronunciato a Cosenza, e arrivare così all’omologazione di un concordato che avrebbe voluto dire sopravvivenza. Col senno di poi, però, non c’era alcuna speranza di centrare questo risultato. La sentenza a firma del presidente Carmela Ruberto, infatti, è nettissima al riguardo e non lascia spazio neanche ai rimpianti: quel concordato, presentato a marzo del 2023, non avrebbe potuto mai essere approvato, perché era sbagliato già nelle premesse.
L’aspetto decisivo, rilevato dai giudici di Catanzaro, è quello della errata formazione delle classi dei creditori. In una di queste, infatti, era stato inserito il cosiddetto Fondo Priamo presso cui, anno dopo anno, l’azienda avrebbe dovuto depositare il Tfr dei dipendenti. Il piano dell’Amaco era quello di attribuire contabilmente le somme al Fondo di previdenza, ma al riguardo la legge è molto chiara: il trattamento di fine rapporto va consegnato direttamente nelle mani dei lavoratori.
Non a caso, quest’ultimi si erano opposti all’omologazione del concordato proprio per difendere quel credito che, in caso contrario da immediatamente esigibile, sarebbe diventato di incerta riscossione. Probabilmente, quei soldi non li avrebbero mai più incassati. I giudici hanno dato loro ragione tant’è che, ad avviso del Tribunale, questo era un motivo di per sé sufficiente a rendere inammissibile il concordato già in sede di proposta.
E’ uno dei giochi contabili con cui l’Amaco ha provato fino all’ultimo a far quadrare i conti, ma proprio gli argomenti utilizzati dall’azienda hanno finito per dimostrare solo quanto disperata fosse la situazione. Del resto, c’era quel macigno da nove milioni di euro dovuti all’Agenzia delle entrate. L’azienda di trasporti sperava di riconoscergliene qualche milione in meno, ma dall’altra parte non si sono volute sentire ragioni.
C’erano poi avvocati con parcelle da onorare, l’Inail che lamentava un trattamento deteriore rispetto a quello accordato all’Inps; un fornitore romano e l’Associazione degli autoferrotranvieri relegate tra i creditori chirografari che aspiravano, invece, a un posto tra quelli agevolati. Insomma, in tanti avevano un buon motivo per staccare la spina. E chi non lo aveva, si è mosso in un contesto in cui provare a tappare una falla significa aprirne altre due.
Sullo sfondo, infine, il ruolo del Comune di Cosenza. Anche il Tribunale di Catanzaro ha stabilito che è in evidente conflitto d’interessi perché unico azionista della società di trasporti, e in quanto tale non avrebbe potuto partecipare ad alcuna votazione. Insomma, un destino più che segnato e che val bene un de profundis: l’Amaco appartiene ormai al passato, il presente porta con sé solo macerie. E se esiste ancora un futuro, quien sabe?