La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Franco Bruzzese, ex boss della cosca ‘ndranghetista “Rango-Zingari” di Cosenza e oggi collaboratore di giustizia. La decisione conferma la sentenza del Tribunale di Catanzaro, che aveva negato il riconoscimento della continuazione tra i reati contestati all’ex capomafia. Bruzzese aveva presentato istanza per ottenere l’unificazione sotto un unico disegno criminoso delle condanne ricevute per omicidi, estorsioni, associazione mafiosa e altri reati.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso di Bruzzese sottolineando l’assenza di un medesimo disegno criminoso tra i vari reati per cui è stato condannato. In particolare, la giurisprudenza stabilisce che la continuazione tra più reati postula «la programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine». Per dimostrarne la sussistenza, devono essere verificati alcuni elementi chiave: l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, la sistematicità e la pianificazione delle azioni criminose.

Dal 2005 al 2012

Nel caso di Bruzzese, il Tribunale di Catanzaro aveva già escluso tale collegamento in quanto alcuni dei reati per cui è stato condannato sono stati commessi prima della sua adesione all’associazione mafiosa “Rango-Zingari“. In particolare, il tentato omicidio di Giuseppe De Rose (2005) e l’estorsione del 2011 sono avvenuti prima della sua affiliazione alla cosca, accertata a partire dal 2012. Di conseguenza, non è possibile ricondurre questi reati a un’unica programmazione criminale.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito che non vi è un automatismo nel riconoscimento della continuazione tra il reato associativo e i reati-fine. Questi ultimi devono essere stati programmati fin dall’ingresso nell’organizzazione mafiosa, e non semplicemente commessi nell’ambito della stessa. Secondo la Corte, «la commissione dei reati-fine nell’interesse o comunque in vista del consolidamento del sodalizio criminoso costituisce un elemento privo di univoca valenza», poiché la deliberazione criminosa può maturare successivamente all’adesione all’associazione.

L’orientamento giurisprudenziale e la decisione finale

La Cassazione ha citato vari precedenti giurisprudenziali per supportare la sua decisione. Tra questi, la sentenza delle Sezioni Unite “Gargiulo” (2017), che stabilisce la necessità di verificare la sussistenza di concreti indicatori di un medesimo disegno criminoso. Inoltre, è stato richiamato l’orientamento secondo cui non si può considerare automaticamente la continuazione tra il reato associativo e i reati commessi all’interno dell’organizzazione criminale.

Infine, la Corte ha sottolineato che l’ordinanza del 1° aprile 2019 della Corte d’Assise di Cosenza, invocata da Bruzzese, non ha rilevanza nel caso specifico. Tale ordinanza aveva riconosciuto la continuazione tra il reato di associazione mafiosa e alcuni omicidi commessi tra il 2012 e il 2015, ma non si estendeva ai reati più risalenti nel tempo.

Con questa motivazione, la Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando Franco Bruzzese al pagamento delle spese processuali.