mercoledì,Maggio 21 2025

Lupara bianca a Cosenza, le verità “congelate” di Perciaccante e Nigro

Risalgono al 2007 le prime rivelazioni di un pentito sulla sparizione per lupara bianca di Massimo Speranze, ecco perché la Dda non è intervenuta prima

Lupara bianca a Cosenza, le verità “congelate” di Perciaccante e Nigro

Ha solo ventuno anni quando, l’11 settembre del 2001, la lupara bianca lo inghiotte senza possibilità di ritorno. Da quel giorno di anni ne sono passati ventiquattro, un lasso di tempo in cui il caso di Massimo Speranza alias “Il brasiliano” è rimasto insoluto. L’unica certezza è che era morto e, per il resto, sembrava che gli investigatori brancolassero nel buio. Non era così. La verità giudiziaria che ritengono di avere raggiunto oggi, è a loro ben nota fin dal 2007. Risale ad allora, infatti, la confessione resa da Pasquale Percacciante al secolo “Cataruozzolo”, già affiliato al clan dei nomadi cassanesi che, complice una condanna all’ergastolo, a settembre di quell’anno decide di collaborare con la giustizia.

Parla “Cataruozzolo”

Il contributo da lui reso ai magistrati si rivelerà più che prezioso. Seppur non di etnia rom, Cataruozzolo era uno tenuto in grande considerazione all’interno della banda, tant’è che a lui erano devoluti incarichi delicati come le spedizioni assassine. Non a caso, le sue dichiarazioni innescano due inchieste giudiziarie – nomi in codice “Arberia” e “Timpone rosso” – che faranno luce su una sfilza di omicidi commessi dal suo gruppo tra il 1999 e il 2003. Diversi i casi di lupara bianca di cui sostiene di essere stato testimone o responsabile diretto. E fra questi, c’è anche quella di Massimino Speranza.

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All’epoca, il pentito descrive con dovizia di particolari tutte le fasi di preparazione all’agguato. Dice di essere stato presente quando da Cosenza, Fioravante Abbruzzese detto “Banana”, uno degli attuali cinque indagati, porta a Cassano la notizia di un problema rappresentato da quel giovane che orbita attorno alla loro cosca, ma è sospettato di fare la spia per gli italiani. La decisione di sopprimerlo sarebbe stata pressoché immediata e presa all’unanimità da tutti i presenti.

Al riguardo, Perciaccante ricordava anche il piano ordito per l’occasione che prevedeva di condurre la vittima con l’inganno prima a Lauropoli e poi ad Apollinara. Informato anche sull’epilogo – «Eduardo Pepe lo ha sparato alla testa con una 38» – sostiene di aver poi visto, perché qualcuno glielo mostrò, il luogo di sepoltura del povero Brasiliano. Nei pressi c’era una stalla da cui, quel giorno, il pentito ricorda di aver prelevato ben «tre kalashnikov».

L’enigma Nigro

Le sue dichiarazioni restano per anni in naftalina perché isolate, ma nel 2015 sembra che il sipario calato sulla triste storia di Massimino Speranza debba finalmente sollevarsi. In quel periodo, infatti, anche Ciro Nigro diserta dal gruppo cassanese e ha qualcosa da dire sul ragazzo di via Popilia sparito nel nulla quattordici anni prima. È stato lui, racconta, ad accompagnarlo incontro alla morte, ha assistito alla sua esecuzione e poi ha contribuito a occultarne il corpo. Per ragioni a tutt’oggi non ancora chiarite, nonostante le confessioni messe nero su bianco su questo e altri delitti, la sua collaborazione con la giustizia s’interrompe ancora prima di cominciare.

Dovrà passare un altro decennio prima che le sue parti s’incontrino ancora, stavolta per non lasciarsi più. Nel frattempo, però, sono trascorsi ormai ventiquattro anni dalla sparizione di Massimo Speranza, che di anni, all’epoca, ne aveva soltanto ventuno. La morte è un mistero più grande di lui. Più grande di noi.