Non so se state seguendo Hanno ucciso l’uomo ragno su Sky. Insomma, Sydney Sibilia sa il fatto suo e la leggendaria storia degli 883 scivola via ch’è una bellezza. E, oltre a decretare l’ennesimo primato della provincia nella costruzione dell’immaginario del nostro Paese, finisce per dirci anche altro.

C’è un momento in cui Max e Mauro pensano di avere svoltato con la loro band, I Pop. Sono andati in tv e, invece, Pavia finisce per risucchiarli ancora. Fanno un lungo giro, ognuno per conto suo. Uno (Max) si ritrova a un passo dal posto fisso al 118, e quindi a un passo dalla combo stipendio, moglie, figli, mutuo eccetera. L’altro torna ai villaggi turistici, in mezzo a quell’immaginario incancrenito di Grease e dintorni.

Poi si ritrovano. E capiscono: la loro musica non deve raccontare il sogno (magari americano), ma fotografare quello che vivono mentre lo sognano. La città con due discoteche e centosei farmacie, Cisco che si perde verso casa di Dio, i coetanei travolti da cumuli di roba e di spade. E cioè un luogo da sfigati, di chi sa, sotto sotto, che non bastano un giubbotto di pelle e un paio di stivali per conquistare l’America. Nascono gli 883.

Quando l’altro giorno sono uscite le motivazioni di appello sulla penalizzazione del Cosenza, ho pensato subito a questa roba qua. Erano anni che, da queste e da (poche) altre parti, si scriveva che una società di calcio non si gestisce così. Eppure fa male vederlo scritto nelle pagine di una pronuncia federale. Un modello organizzativo “inefficace” e incapace di “prevenire l’illecito specifico”. Tante, troppe funzioni affidate a una persona sola (Roberta Anania), quando “avrebbero dovuto essere diffuse tra più soggetti”. “Assenza di procedure efficaci” e violazioni che potevano essere evitate. Troppo facile (e un po’ vigliacco) scaricare le colpe su un’unica pedina. Tornando alla serie sugli 883, è proprio come quando Max e Mauro litigano uscendo dalla pizzeria in cui hanno appena suonato e si rinfacciano responsabilità che, invece, stanno più in alto.

Davanti a tutto questo, l’appello alla piazza del presidente Guarascio (“Abbiamo bisogno del pieno affetto e sostegno della tifoseria”) (ma perché, esiste un affetto “vuoto”?) suona davvero fuori luogo. Ma certo che i tifosi sosteranno il Cosenza: è dall’inizio del campionato che Alvini loda il sostegno che arriva dagli spalti, di che parliamo? Il patrimonio che rappresenta la serie B è arcinoto, ma cosa farà la società per difenderlo? Presenterà un altro ricorso?

Convocare la stampa per non dare risposte alle tante questioni aperte (fornitori, stewards, pignoramenti, campi di allenamento, primavera, squadra femminile) è quanto di più surreale potesse avvenire. Ancor di più lo è annunciare la presenza della nuova amministratrice (Rita Scalise), poi assente.

La penalizzazione a cui saremmo andati incontro era chiara già da inizio luglio, ovvero quando la scelta dell’allenatore era caduta sull’unica persona a cui mi sento di aggrapparmi da qui a fine campionato: Massimiliano Alvini. Non so come lui e i calciatori stiano vivendo questa situazione, ma comincio a temere che la loro serenità ne stia risentendo. Siamo quasi a novembre ed è perfettamente chiaro che la coperta è cortissima. Se la difesa è la terza meno battuta della cadetteria, questo è soprattutto per merito di Micai e di un reparto che, collettivamente, riesce a sopperire a grosse carenze individuali (per ora, si salvano Caporale e Camporese). Sankoh resta un grosso punto interrogativo; se Fumagalli e Mazzocchi sono una coppia d’attacco, non l’hanno dimostrato.

Insomma, ce n’è abbastanza per dire che il mercato doveva portare (o trattenere) ben altri elementi. A maggior ragione con la consapevolezza di una penalizzazione in arrivo. È vero, c’è anche del buono. Gente come Charlys, Ricciardi e Kouan sta dimostrando il suo valore. Continuo a vedere un Florenzi in crescita, dopo due annate opacissime. E, nella lotta salvezza, non vedo giganti. A cominciare dal Cittadella, appena affrontato, fino ad arrivare a Frosinone e Carrarese (organici e problemi diversi, risultati simili).

Il problema, però, è che la società, come I Pop di cui sopra, continua a non essere all’altezza del “sogno” (la serie B). La storia (reale) di una Calabria regione economicamente depressa diventa un alibi (come a dire: che volete di più?), anziché uno stimolo. Le richieste esaudite (l’arrivo di un dg) sono state subito narcotizzate dagli ordini di scuderia. Le “scuse”, in caso di errori, non esistono. C’è solo la chiamata alle armi per i tifosi: come una band che pretende un pubblico da Glastonbury sotto il palco, senza aver nemmeno ancora reclutato i turnisti.

Un’ultima cosa. Credo che sia il caso di finirla con quella storia dei dieci punti sul campo. Il Cosenza di punti ne ha sei. Semmai, sul campo, quei quattro punti deve andarseli a riprendere. A cominciare dalle prossime due gare (Juve Stabia e Reggiana) che non saranno per niente agevoli. Tornando agli 883, Pezzali e Repetto fanno il botto nonostante vengano da un posto come Pavia, ma anche grazie a Pavia e al suo immaginario. Alvini e i suoi dovranno salvarsi nonostante la società che hanno alle spalle e grazie ai tifosi. E temo che non sarà un’impresa facile.