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Era arrivato il momento delle hit dell’estate, quand’è successo tutto. Mi ricordo che c’era quella canzone che fa “Ba-a-alla-a-a…”. Il brutto della cronaca è che capita di scoprire, alle otto di sera, che è crollato un pavimento durante una festa di matrimonio con una quarantina di feriti, molti in codice rosso. Il bello è che, non appena ci si accorge che, miracolosamente, nessuno è in pericolo di vita, il cronista fa scattare tutta una serie di autodifese. E, se incontra colleghi che la pensano allo stesso modo, cerca sempre un modo per sdrammatizzare. Qualcuno lo chiama cinismo, ma credetemi che non lo è.
Sabato scorso, a Pistoia, il ricevimento di Valeria e Paolo (ne avrete sentito parlare, immagino) ha rischiato di trasformarsi in tragedia. Eppure, dopo la corsa sul posto, le prime testimonianze e ricostruzioni, la notte in bianco, all’alba di domenica la futile domanda che ci ponevamo tra colleghi (e che uno di noi ha avuto il coraggio di porre a una delle ferite) (di origini calabresi, peraltro, la ferita) era questa: Cosa stavate ballando, mentre è accaduto? In qualche modo si trattava del corollario di uno splendido passaggio di Novecento di Baricco (perché se balli ti senti dio e non puoi morire).
E la canzone era questa. Personalmente avevo scommesso su Raffaella Carrà: Tanti auguri o qualcosa di simile. Ma ero pure convinto che a Cremona saremmo riusciti a strappare un pari. Si vede che domenica, per le scommesse, non era giornata.
Tra i rottami balla, canta Dargen D’Amico. Senza una vittoria da novembre (Reggiana), a secco di reti in trasferta da settembre (Pisa), due punti appena in sette partite, il Cosenza a ballare allo Zini ci ha pure provato. Ma senza grosso costrutto. Anche se le statistiche parlano di quattro tiri in porta per i rossoblù (e due pali), i miei radar registrano una squadra messa meglio in campo rispetto a un mese fa, ma raramente capace di pungere. Una squadra che non balla, mentre il pavimento sotto i piedi comincia a scricchiolare.
Tra gli arrivi dal mercato, bene il ritorno di Camporese in difesa, ancora da decifrare Frabotta, mentre le recensioni che si raccolgono in giro su Gyamfi sembrano quelle di Cucine da incubo (ma siccome non sono Cannavacciuolo, spero che vengano tutte smentite).
Una delle cose più difficili nel calcio non è tanto lottare per un obiettivo, ma essere costretti a farlo dopo aver creduto di poter lottare per un altro. E io resto convinto che sia questo il problema principale del Cosenza. Non riuscire più a esprimersi come nei primi due mesi di campionato, annaspare dopo aver creduto di essere pronti per una stagione differente.
La società ha scelto di confermare Caserta alla guida tecnica. Mi auguro che sia la scelta giusta. Perché la mia sensazione (purtroppo, aggiungo) è che una svolta in panchina sarebbe riuscita a scardinare più facilmente certi meccanismi psicologici e tattici.
Primo dei quali il mantra della grande prestazione. Al di là del fatto che in conferenza stampa sia possibile dire tutto e il contrario di tutto, a Cremona la prestazione l’hanno fatta i grigiorossi. Sotto tono, certo, rispetto all’organico che hanno (molto superiore al nostro). Al Cosenza è rimasta tanta circolazione di palla, pochissimi inserimenti a dettare i passaggi, manovre al rallentatore, tiri col contagocce. E in questo modo salvarsi sarà l’ennesima, grande sofferenza. Si spera, ovviamente, con un lieto fine alla Dirty dancing.
Debbo dire che l’unica, piccola luce in tutto questo a me è parsa la prestazione di Crespi. È vero che uno dei peggiori crimini che un giornalista possa commettere è quello di trovare analogie tra situazioni e momenti diversi, ma lo squillo di tromba dell’attaccante di scuola biancazzurra mi ha subito sbloccato il ricordo di Marco Nasti un anno fa. Forse, se c’è un calciatore sulla cui fame conviene puntare ora, è proprio lui.
A questa squadra manca dannatamente uno come il Florenzi di due anni fa, capace di spaccare la partita. Purtroppo, da quel poco che ho capito e per motivi fisici, il suo utilizzo in campionato continuerà a essere molto irregolare. Per cui, prima ancora che nel gestire i nuovi arrivi, Caserta dovrà essere bravo soprattutto nel dare nuove motivazioni a chi resta. Penso soprattutto a Canotto, ma anche a Tutino che sembra portarsi un macigno sulle spalle ogni volta che gioca il pallone, allo stesso Zuccon (molto più “leggero” di testa a inizio stagione) o a Forte.
Questa è una squadra che ha una dannata paura di ballare. Forse non è capace di farlo come Vincent Vega, ma nemmeno lui voleva salire sul palco del Jack Rabbit: è Mia Wallace a convincerlo. Questa squadra deve scrollarsi di dosso il rimpianto dei punti persi e del torneo che avrebbe potuto fare. E giocare il suo campionato, una partita dopo l’altra. A cominciare da quelle più difficili, come quella che ci attende col Venezia, agli scontri diretti contro Sudtirol e Pisa. Per restare a galla, perché il pavimento sta venendo giù. Proprio come a Pistoia, sabato scorso.