La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha acceso i riflettori su Cetraro con un’inchiesta che ipotizza una serie di atti intimidatori e tentativi di estorsione ai danni della clinica privata di Belvedere Marittimo. Secondo l’accusa, alcuni episodi violenti – incendi, minacce con ordigni ed esplosivi – avrebbero avuto l’obiettivo di costringere dirigenti della struttura sanitaria a consegnare denaro. Si tratta di contestazioni allo stato delle indagini preliminari, in cui vale la presunzione d’innocenza per tutti gli indagati.

Le contestazioni agli indagati

Nei capi di imputazione si fa riferimento a più episodi distinti. Vincenzo Bufanio e ignoti avrebbero tentato di estorcere denaro appiccando fuoco all’auto del vicedirettore della clinica, parcheggiata nell’area antistante la struttura sanitaria. L’episodio, rimasto allo stadio di tentativo, sarebbe stato finalizzato a costringere la vittima a pagare una somma non definita. Giuseppe Scornaienchi e Angelo Ferraro, insieme ad altri soggetti non identificati, sono accusati di aver minacciato il capo dipartimento dell’area medica, prendendo di mira la sua imbarcazione ormeggiata al porto turistico di Cetraro. Un sopralluogo preliminare e un presunto ritorno notturno avrebbero preceduto l’intenzione di incendiare il natante.

Ancora Giuseppe Scornaienchi e Giuseppe Ferraro sono inoltre indagati per un episodio del 22 ottobre 2022, quando un ordigno esplosivo avrebbe danneggiato i locali della camera mortuaria della clinica. L’ipotesi è che il gesto fosse diretto a intimidire il presidente del CdA e il vicepresidente. In tutti i casi, sottolineano gli inquirenti, l’evento estorsivo non si è verificato per cause indipendenti dalla volontà degli indagati.

Ipotesi di metodo mafioso

Le imputazioni richiamano non solo gli articoli del codice penale relativi a estorsione e danneggiamento, ma anche l’art. 416 bis.1, che disciplina l’aggravante mafiosa. Secondo la ricostruzione accusatoria, le azioni contestate avrebbero avuto la finalità di dimostrare la capacità di incidere sulla tranquillità economica e sociale della comunità, un tipico schema intimidatorio delle consorterie criminali di stampo ‘ndranghetistico riconducibili al clan Muto. Nell’ordinanza infatti viene più volte richiamata la sentenza Frontiera.