Che a Cosenza e dintorni ci sia un “Sistema” che coordina lo spaccio di droga, la procura di Cosenza e la Dda di Catanzaro, lo sanno ormai da tre anni. Le ultime indagini infatti hanno acceso i riflettori su presunti gruppi criminali che controllano il commercio delle sostanze stupefacenti. Le forze dell’ordine, inoltre, hanno acquisito negli anni ulteriori informazioni dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia. Dichiarazioni auto ed etero accusatorie che, ovviamente, dovranno essere valutate in un giusto processo e non potranno in alcun modo far considerare indagati e imputati colpevoli almeno fino alla sentenza definitiva.

Il “Sistema Cosenza” esiste da almeno dieci anni

Il “Sistema” che gestisce la droga a Cosenza si fonda sostanzialmente su due sodalizi: gli “zingari” e gli italiani. Da un lato si fanno affari con eroina, proveniente dalla Sibaritide, dall’altra parte cocaina e altre sostanze stupefacenti. Le inchieste, nella fase delle indagini preliminari, hanno rivelato che i canali di approvvigionamento devono essere quasi sempre gli stessi e chi “sgarra” ne paga le conseguenze.

Secondo alcuni pentiti, il “Sistema Cosenza” esiste da almeno dieci anni, ovvero dal giorno in cui nacque la confederazione tra i clan cosentini che dopo la morte di Michele Bruni si erano uniti, versando i proventi illeciti in un’unica “bacinella comune”. Insomma, a Cosenza e dintorni chiunque può spacciare la droga, a patto che rispetti le regole delle cosche.

Come pretende il “Sistema” per spacciare la droga a Cosenza

Uno degli ultimi collaboratore di giustizia, Giuseppe Zaffonte, quasi un anno dopo Celestino Abbruzzese, oggi pentito e condannato nel 2018 per narcotraffico, raccontò alla Dda di Catanzaro, come funzionava il “Sistema Cosenza”. «Prendere la droga “Sottobanco” significa non prenderla dal “Sistema” istituito dalle organizzazioni criminali a Cosenza. Dell’attività di narcotraffico di tutti questi soggetti io lo so per certo in quanto all’interno del “Sistema” si sa sempre a chi potersi rivolgere. Tutti questi spacciatori si muovono sempre all’interno del “Sistema”, passando da un referente all’altro perché è sempre come se fosse la stessa cosa», ma « fuori dal “Sistema” non si può spacciare».

Quando all’Unical il clan trovò 3 chili di “erba”

Quando qualcuno smercia droga in modo autonomo, si passa alle maniere forti. Giuseppe Zaffonte, che ha dichiarato di aver fatto parte del clan “Lanzino“, sebbene nessuna indagine o processo contro il clan degli italiani lo abbia mai interessato, illustra un episodio. «Una volta ad esempio è successo a noi con dell’erba venduta all’università, che è zona nostra; in quella occasione per ritorsione siamo andati a prelevarla direttamente da questi studenti universitari che avevano spacciato a casa, gli abbiamo preso 3 kg. Di erba che non abbiamo restituito: si trattava di parenti dei Pesce».

L’incidente “diplomatico” con i Pesce di Rosarno

«So che poi sono saliti direttamente i Pesce per chiedere spiegazioni e noi gli abbiamo spiegato che a Cosenza funziona così, che c’è il “Sistema” fuori del quale non si può spacciare, per cui non gli abbiamo restituito nulla e hanno perso tutto. Quando a me proponevano la marijuana buona a Crotone io non potevo prenderla altrimenti avrei fatto “Sottobanco”, per cui facevo presente la circostanza a chi c’era fuori come referente» spiega Zaffonte.

«Più volte è capitato che chi spacciava “Sottobanco” venisse picchiato; ad esempio è successo con … omissis … e con … omissis …, che sono andati a rifornirsi a Cetraro, senza avere l’autorizzazione, in un periodo in cui noi non avevamo nulla. Hanno preso piccole quantità di cocaina e sono stati picchiati» dice il pentito cosentino.

Pusher al servizio dei clan

L’impostazione del “Sistema“, come riferito da Zaffonte, è chiara. I pusher prendono zone della città e fanno i propri interessi sporchi. Quando gli assuntori di droga accumulano debiti, in alcuni casi le somme vengono pagate dai familiari oppure si corre il rischio di commettere un altro reato: estorsione. Così funziona a Cosenza, ma inevitabilmente in tutte le città dove i clan prendono il controllo del territorio e si dividono i quartieri. Parlare di “Sistema” significa anche prendere coscienza che ormai non esistono più gruppi contrapposti: si sceglie la strategia migliore per fare “cassa comune”.

E’ anche vero che le inchieste antimafia hanno indebolito i clan cosentini, grazie alla cattura dei capi società, ma questo non basta a scoraggiare le “nuove leve“. Ci si organizza un attimo dopo che il boss finisce in carcere, non solo per acquistare e vendere la droga, ma soprattutto per attività quali estorsione e usura. Le recenti cronache purtroppo dimostrano che il “racket” si muove su più fronti e non guarda in faccia nessuno. Tocca alla magistratura “dettare” i tempi, dando risposte ai cittadini che chiedono giustizia.