Due bottiglie piene di liquido infiammabile, quattro cartucce a salve e una richiesta di 30mila euro. È il quadro ricostruito dal gup del tribunale di Catanzaro Fabiana Giacchetti, in merito alla tentata estorsione aggravata ai danni di un imprenditore edile e dei suoi soci. L’azione, secondo la sentenza del processo abbreviato Reset, fu pianificata dal boss Francesco Patitucci e affidata a Michele Rende come esecutore materiale.

L’episodio si consumò nel giugno 2020. Il 22, la vittima rinvenne il materiale intimidatorio all’interno di una delle villette in costruzione presso il cantiere della propria impresa. Ma è il giorno prima, il 21, che l’attività investigativa colloca il primo segnale del racket. In una conversazione intercettata, Michele Rende contatta la vittima per un incontro urgente: «Puoi salire urgentemente?…», chiedeva, lasciando presagire quanto stava per accadere.

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Gli investigatori, grazie a pedinamenti e intercettazioni, riuscirono a documentare l’incontro tra la principale persona offesa e Rende nei pressi di un noto bar cosentino, seguito da una visita di Rende a casa di Patitucci. Un passaggio, questo, che per il giudice assume valenza probatoria, collocando Patitucci nel ruolo di mandante e beneficiario dell’estorsione.

Il 17 luglio 2020, una nuova conversazione intercettata tra Rende e un uomo non identificato svela le ragioni del gesto: «Sai quanto gli è costato?… 30mila euro… a lui e al socio…». E ancora: «Ti ammazzo a te e ai soci… a tutti». Rende lamentava che l’imprenditore non avesse voluto accollarsi le spese extra per impianti e modifiche richieste nella villetta acquistata, ed è da questo contrasto che sarebbe nata l’intimidazione, con l’obiettivo di costringerlo al pagamento.

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Secondo la ricostruzione della Corte, il boss Patitucci entrò direttamente in scena quando i soldi tardavano ad arrivare. Il 30 luglio 2020, Rende gli riferì della mancata riscossione e Patitucci lo esortò con queste parole: «Diglielo, “mi devi dare la pila”… vai a prendere i soldi… alle tre a casa». Pochi minuti dopo, Rende contattò la persona offesa per incontrarlo nei pressi del punto vendita ICALM a Castrolibero.

Tuttavia, non è stato possibile accertare con certezza l’avvenuto pagamento. «Non vi è alcun dato afferente il contenuto dell’incontro», scrive il giudice, ma l’impianto probatorio è considerato solido e tale da giustificare la condanna per il reato di tentata estorsione.

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Nel corso delle indagini è emerso un comportamento tipico delle vittime di estorsione. Inizialmente, l’imprenditore e i soci negarono di aver ricevuto minacce, salvo poi cambiare versione dopo che i carabinieri lasciarono intendere di possedere elementi a loro carico. Nei verbali del 3 settembre 2020 e del 10 gennaio 2023, l’imprenditore ammise che Rende gli aveva chiesto 10mila euro, «ovvero 2.500 euro per ciascuna villetta che stavo realizzando a Mendicino».

Il giudice ha ritenuto la versione della persona offesa «credibile, priva di contraddizioni e riscontrata dalle intercettazioni». Il ritardo nella denuncia è stato considerato «giustificato dal timore» e dal clima di intimidazione mafiosa.

La sentenza qualifica il fatto come tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare l’associazione criminale di cui Patitucci era ritenuto esponente di vertice. «L’azione estorsiva iniziava con il posizionamento di una bottiglietta incendiaria, condotta emblematica degli atti a scopo estorsivo di matrice mafiosa», si legge nel testo. E ancora: «Il fatto che Rende si rivolgesse a Patitucci conferma che le estorsioni nel territorio dovevano essere sottoposte al controllo del capo cosca».