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Possedeva e utilizzava regolarmente il cellulare nonostante il divieto impostogli dal questore di Catania con l’avviso orale emesso nel 2010 e notificatogli nel 2015. Per questo motivo, la Procura di Cosenza, in seguito a un’imputazione coatta emessa dal gip Giuseppe Greco, aveva esercitato l’azione penale nei confronti di Vincenzo Pandetta, in arte Niko, 32 anni, noto trapper catanese, citandolo a giudizio davanti al Tribunale di Cosenza, per aver violato l’Articolo 76 comma 2 del Decreto Legislativo 159/2011.
In particolare, il Pandetta, deteneva un telefono cellulare I-phone xs nero a lui intestato rinvenuto nella tasca destra del pantaloncino indossato, per come accertato dai carabinieri il 16 luglio 2019 presso un noto hotel di Rende. Nell’occasione, i militari sequestrarono al Pandetta il telefono cellulare rinvenuto nella sua disponibilità.
Prima dell’apertura del dibattimento, i difensori del cantante, gli avvocati Carmine Curatolo ed Emilio Enzo Quintieri del Foro di Paola, hanno chiesto al giudice Francesco Guglielmini di emettere nei confronti di Pandetta, già detenuto per altro nel carcere di Milano Opera, una sentenza di proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, a seguito della sentenza n. 2/2023 emessa dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’Articolo 3 comma 4 nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo. Anche la Procura di Cosenza, rappresentata dal pubblico ministero Patrizia De Marco, si è associata alla richiesta di proscioglimento avanzata dai difensori.
All’esito della camera di consiglio, il Tribunale di Cosenza, ha emesso sentenza di non doversi procedere nei confronti del trapper catanese perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo il dissequestro del cellulare e la restituzione all’avente diritto, riservandosi sessanta giorni per la motivazione.