Non c’erano solo i carabinieri addosso ai giovani spacciatori africani di Cosenza. I traffici che avvenivano tra l’autostazione e Villa Giulia, ca va sans dire, non erano sfuggiti neanche ai clan locali. Quest’ultimi, infatti, avrebbero dato loro il via libera, ma a una condizione: che lo smercio riguardasse solo la marijuana e nessun’altra sostanza, «altrimenti ci avrebbero ammazzato». È quanto emerge dagli atti d’indagine, in particolare dalle dichiarazioni rese da uno degli indagati che indica un certo «Luca» come l’esponente delle cosche cosentine con il quale si sono svolte le trattative.

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Quel patto, stipulato all’inizio del 2019 nei pressi della moschea in viale Mancini, si rivelerà però di breve durata. A ottobre dello stesso anno, infatti, ancora Luca avrebbe avvicinato il gruppetto per comunicare loro che i termini dell’accordo erano cambiati: ora, l’erba avrebbero dovuto acquistarla per forza dagli “italiani”. «Gli abbiamo risposto che non poteva pretendere e questa cosa e lui mi ha detto, testuali parole, allora continua e vedi che ti succede».

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Tempo due mesi e dalle parole si passa ai fatti. A ridosso di Natale, uno degli spacciatori riceve un messaggio whatsapp con cui un cliente gli chiede 350 grammi di marijuana. Il sedicente assuntore gli dà appuntamento nella villetta di via XXIV maggio, ma purtroppo per lui quella è una trappola. Sul posto, si presenta Luca «insieme ad altri sette o otto ragazzi» e cominciano a pestarlo di brutto: calci e pugni e finanche una pistola puntata sulla sua testa. «Ha detto agli amici di spostarsi perché mi avrebbe sparato e a quel punto sono corso via».

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L’episodio sarà poi oggetto di dibattito all’interno del gruppo. «Eravamo tutti preoccupati, ma non abbiamo smesso di spacciare» ha spiegato il diretto interessato ai magistrati. All’epoca, qualcuno fra loro pensa anche di munirsi di pistola, ma alla fine rinunceranno a propositi così bellicosi. Determinanti, in tal senso, si rivelano le parole del loro capo, Obinna: «Mi ha detto di stare tranquillo, che non dovevamo fare guerre ma continuare a pensare solo al business».