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Francesco Greco è un fiume in piena. Dopo aver riferito sui contrasti nati tra il gruppo di Mario “Renato” Piromallo e quello di Roberto Porcaro, e aver spiegato quali fossero i rapporti tra l’ex “reggente” del clan “Lanzino” di Cosenza e Massimiliano D’Elia, condannato in via definitva per l’omicidio di Giuseppe Ruffolo, il neo collaboratore di giustizia ha spiegato ai magistrati della Dda di Catanzaro cosa avvenne a Cosenza nel 2018. Parliamo di un’altra presunta aggressione ai danni di un rivenditore ambulante di panini.
Il pentito ha dichiarato che il commerciante «”doveva mettersi a posto”, alché lui mi rispose che era a posto con Sergio Del Popolo, detto u “Sapunaro“, e Gianfranco Sganga. Non soddisfatto della sua risposta gli diedi due schiaffi e gli disse che i soldi dovevano andare a Perna, Castiglia, Alfonsino Falbo, Sergio Raimondo e tutti gli altri “amici”, ove per amici mi riferivo a tutti gli altri esponenti della confederazione», parola che non compare quasi mai nei precedenti verbali di Porcaro.
Greco, inoltre, ha aggiunto che in quella occasione, ovvero del pestaggio, sarebbero andati con lui anche «Ivan Barone, Gennarino Presta e Antonio Marotta, detto capicedda». E ancora: «Quella stessa sera io, Antonio Marotta, Luigi Abbruzzese, Alfonsino Falbo e Roberto Porcaro ci recammo a casa di Gianfranco Sganga per chiarire la vicenda dell’estorsione al venditore di panini. Appena giunti Sganga mi chiese personalmente chi fosse stato ad aggredire il commerciante ma io risposi che non sapevo niente di questa vicenda» ha spiegato Francesco Greco.
Il racconto è proseguito con l’entrata in casa di Sganga di «Luigi Abbruzzese, Alfonsino Falbo e Roberto Porcaro al fine di chiarire come andava gestita quella estorsione. Sganga – ha evidenziato il pentito – riteneva che il provento estorsivo versato dal commerciante spettasse a lui a titolo di compenso per il contributo offerto al pagamento degli “stipendi” elargiti al gruppo Perna; a questa sua affermazione – ha concluso Greco – Porcaro, Falbo e Abbruzzese replicarono che il fatto che lui pagasse gli stipendi non lo legittimava a riscuotere le estorsioni i quanto i proventi delle stesse dovevano confluire nela “bacinella” della confederazione consentendo ai vari gruppi di prendervi parte».