Quando parliamo di Daniele Lamanna ci viene in mente che l’ex partecipe del clan “Rango-zingari” ha ucciso un suo amico, Luca Bruni, su ordine del suo capo di allora, Franco Bruzzese. Ci viene in mente anche che ha contribuito, con le sue dichiarazioni, a ricostruire altri fatti omicidiari, come il tentato omicidio De Rose, e gli omicidi Marincolo e Martello. Un pentimento quindi a tutto tondo, quello dell’ex affiliato al clan “Bruni bella bella” di Cosenza, poi alleatosi con gli “zingari” di Cosenza e infine pentitosi dopo la decisione di Adolfo Foggetti e Franco Bruzzese di “saltare il fosso”, collaborando con la Dda di Catanzaro.

Lamanna, infatti, è un collaboratore di giustizia dal 2016. Ha subito tante condanne – dall’associazione mafiosa di “Nuova famiglia” all’omicidio di Luca Bruni, mentre altre sono in via di definizione – ma non ha avuto ad oggi una misura alternativa al carcere in maniera definitiva. Così dinanzi al tribunale di Sorveglianza di Roma, rappresentato dal suo avvocato di fiducia, aveva richiesto di “tornare a casa”. Ma il giudice ha detto no.

Il ricorso in Cassazione del pentito Daniele Lamanna

Il tribunale di Sorveglianza di Roma aveva ritenuto prematura l’ammissione del detenuto alla misura alternativa richiesta, “sebbene quest’ultimo”, riferendosi a Daniele Lamanna, «avesse tenuto una condotta carceraria collaborativa e avesse reso dichiarazioni reputate di particolare importanza per lo sviluppo di indagini in materia di criminalità organizzata; e che abbia, da un lato, riconosciuto l’assenza di pericolosità sociale e il significativo contributo processuale del condannato, e, dall’altro, negato un ravvedimento dello stesso rispetto alla precedente vita malavitosa. La difesa insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata».

Sul punto, la prima sezione penale della Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso di Daniele Lamanna, affermando la non sussistenza delle censure mosse dal suo legale di fiducia. «Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione – si legge nella motivazione – va tenuto presente il principio generale per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione – che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi – oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative».

«Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, però, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa».

Ecco perché il pentito Daniele Lamanna non può lasciare il carcere

La Cassazione, entrando nel merito della questione, scrive che «il Tribunale di sorveglianza di Roma, dopo avere rilevato che Lamanna ha iniziato il suo percorso di collaborazione dall’aprile 2016 ed è stato ammesso subito dopo in via provvisoria a speciale piano di protezione deliberato definitivamente nel febbraio 2019, evidenzia che durante la carcerazione lo stesso ha tenuto una condotta non sempre regolare, “essendo stato rapportato disciplinarmente nell’ottobre 2019 e punito con 5 giorni di EARS per traffico di beni non consentiti“, e che lo stesso – nei cui confronti sono state respinte le istanze di differimento facoltativo nelle forme della detenzione domiciliare per ragioni di salute nell’aprile 2019 e giugno 2020 – è stato ammesso a beneficiare di permessi-premio secondo la normativa speciale sui collaboratori di giustizia a partire dal febbraio 2021 e dunque, allo stato, ne ha concretamente fruito per cinque volte».

Il Tribunale di sorveglianza di Roma, dando dare atto del positivo evolversi del percorso penitenziario di Lamanna (partecipazione alle attività trattamentali, elaborazione in chiave critica del vissuto deviante e concreta progettualità futura incentrata sulla famiglia) «e della rilevanza dell’apporto collaborativo fornito (avendo, invero, riferito sul gruppo di criminalità organizzata operante nella provincia di Cosenza, di cui ha fatto parte con ruolo di rilievo, e sulle altre organizzazioni con cui ha interagito, offrendo anche contributi conoscitivi su gravissimi episodi delittuosi quali traffico di stupefacenti, estorsioni, rapine ed omicidi, come rimarcato dal parere PNA), «al fine di valutare la sussistenza del requisito del ravvedimento, cui la norma speciale subordina la concessione dell’invocato regime alternativo, appare necessario, in un’ottica di gradualità dei benefici penitenziari, verificare gli esiti della sperimentazione esterna del condannato – ad oggi ancora insufficiente – per un ulteriore e congruo periodo, prima dell’ammissione alla invocata detenzione domiciliare».

La precedente caratura criminale del pentito Daniele Lamanna

Gli ermellini della prima sezione penale ancora osservano: «Non può infatti trascurarsi come l’evoluzione del percorso intrapreso dal Lamanna, di cui l’indubitabile collaborazione rappresenta il punto di partenza, verso una condotta regolare e conforme alle regole sia – a fronte della rilevante devianza, della attuale scadenza della pena (fissata al maggio 2034) e della pendenza esistente a suo carico per omicidio con condanna non ancora definitiva ad anni 10 di reclusione (certificato dei carichi pendenti procura di Cosenza, in atti) – tutto sommato recente, in quanto collocabile – indicativamente – in epoca di poco precedente la concessione del primo permesso premio, avvenuta a febbraio 2021».

«Tale essendo la motivazione convinta e rafforzata dell’ordinanza impugnata, è evidente che, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, il Tribunale di sorveglianza di Roma, oltre a non incorrere in illogicità motivazionale, non compie un’errata interpretazione dell’elemento del ravvedimento quale presupposto indispensabile per la concessione dei benefici penitenziari al collaboratore di giustizia, quanto piuttosto un’interpretazione assolutamente conforme alla costante giurisprudenza sopra riportata, laddove vaglia gli ulteriori e specifici elementi sopra evidenziati, per dedurne l’insussistenza della prova di un effettivo compiuto ravvedimento, parametrando la decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell’interessato, secondo la gradualità che governa l’ammissione ai benefici penitenziari» e infine «laddove, quindi, ritiene, in una ponderata valutazione comparativa con le prove di ravvedimento addotte dal condannato, che la gravità dei reati commessi da Lamanna e la caratura criminale, che lo stesso ha dimostrato nella sua vita di possedere, portino a considerare non ancora acquisita la prova certa e definitiva del suo ravvedimento, ma solo di un ravvedimento in itinere, il cui completamento è da valutare solo all’esito della sperimentazione esterna del condannato, destinata necessariamente a protrarsi “per un ulteriore e congruo periodo”».