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Immaginate di andare a eseguire un crimine, di auto muniti e con un complice come autista. Quest’ultimo vi lascia sul posto indicato con il compito di fare il giro dell’isolato per poi riprendervi a bordo due minuti più tardi, a missione compiuta. E invece va a finire che di minuti ne impiega almeno sessanta, abbandonandovi per strada al buio e sotto la pioggia battente. Sembra una barzelletta e invece è una delle tentate estorsioni entrate a far parte del maxiprocesso “Reset”.
«E la ma…onna, mi sei passato davanti per tre volte!». La notte del 6 novembre 2017, la microspia piazzata nell’auto del futuro collaboratore di giustizia Francesco Greco documenta tutto il suo disappunto verso il compare alla guida. Poco prima, i due hanno indossato i panni dei racketeer per recapitare il più classico dei segnali intimidatori a un’azienda ubicata nella zona industriale di Rende: una bottiglia con del liquido infiammabile corredata da un accendino. Sulla carta un lavoretto pulito, quasi di routine. E invece…
Che qualcosa stesse per andare storto, i carabinieri in ascolto lo intuiscono già prima che i due passino all’azione. Non a caso, le fasi preparatorie sono governate dall’incertezza. C’è Greco che dà istruzioni al suo autista per il recupero: «Allora, sempre dritto, passi la rotonda e ancora dritto…». L’altro mostra di aver capito – «Ok, scendo di qua, sempre dritto, c’è un bar e passo la rotonda» – ma l’amico lo corregge subito, perché in realtà non ha capito niente: «No, prima passi la rotonda e poi c’è il bar!». È il prologo al disastro.
L’autista gira a vuoto per circa un’ora prima di riuscire a ricongiungersi con il complice che, una volta fatto rientro nell’abitacolo, dà sfogo a tutta la sua rabbia: «Tre volte non mi hai visto, tre volte non mi hai visto, tre volte!». È inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi – «Guarda come mi sono combinato!» – ma la giustificazione addotta dall’amico distratto, più che il capitolo di un’inchiesta antimafia è un pezzo di commedia all’italiana: «Eh non ho gli occhiali, sono uscito pazzo perché sono senza occhiali».
Il pasticcio combinato quella notte suggerisce a Greco di annullare l’operazione. «Abbiamo fatto troppo bordello avanti e indietro». Il suo timore è che andandosene a zonzo per la zona industriale, la loro auto sia finita sotto l’obiettivo di qualche telecamera di sorveglianza. Decide così di riprendersi la bottiglietta incendiaria per poi ripetere l’azione il giorno successivo. Al suo capo Roberto Porcaro, però, non racconterà ciò che è successo realmente. «Gli dico che l’ho lasciata, se gli viene il dubbio… hai capito?… ci fanno il culo a cappello di prete… tanto oggi o domani».
Mentre sono in procinto di abbandonare il campo, però, ha ancora qualcosa da recriminare nei confronti dell’amico: «Sei passato di qua e pensavo che mi avevi visto. Sei passato di nuovo, ti ho fatto segno… e niente. “Minchia” ho detto (…) Iha alla ma…onna, sei passato di nuovo e non ti ho nemmeno chiamato. Ho pensato: “Si sta girando”… Minchia oh (…) Ho detto: “Ok, stasera m’arrestano”». È anche questo suo rimuginare che, molto probabilmente, gli suggerisce l’ultima decisione da prendere prima della ripartenza: «Parcheggiati qua, guido io che se no stasera facciamo qualche guaio».