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Una cimice nascosta nel cuore di casa Calabria-Tundis, con un trucco analogo a quello escogitato per spiare Francesco Patitucci. Nel caso del boss di Cosenza, il vettore scelto per introdurre il piccolo microfono direzionale nel suo appartamento fu un decoder per la tv. Una trovata che in seguito farà le fortune dell’inchiesta “Reset”. Più o meno nello stesso periodo, per stanare il gruppo di San Lucido gli investigatori decidono di utilizzare come cavallo di troia il router del telefono di uno dei presunti capi dell’organizzazione. E sarebbero riusciti nel loro intento, se solo non si fosse messo in mezzo il dipendente di una compagnia telefonica.
Il 28 novembre del 2018 la microspia ha già cominciato a fare il proprio dovere quando la polizia giudiziaria si accorge della presenza di un tecnico che armeggia sul ripetitore esterno che serve l’abitazione. A chiamarlo, poco prima, sono stati i padroni di casa, lamentando un guasto alla linea. L’uomo si accorge subito che a determinare l’anomalia è la presenza di un “intruso”. Il suo pensiero corre subito a una microspia, così racconta tutto a suo padre. E cosa fa quest’ultimo? Passa la notizia via telefono a una persona di sua conoscenza perché – ritiene la Dda – sa che è molto legato ai Calabria. E quindi andrà a metterli in guardia.
«Vedi che questo canarino non canta» è il codice da lui impiegato per veicolare il messaggio, ma l’altro non capisce. «Metti a dormire questo canarino» insiste, ma quello continua a non capire. Di lì a poco, si vedranno di persona e tutto gli apparirà più chiaro. Preso atto di ciò, gli inquirenti disattivano la cimice e interrompono provvisoriamente le operazioni di spionaggio, ma cinque anni più tardi gli eventi si ritorceranno contro chi ha determinato quell’epilogo. Padre e figlio, infatti, si ritrovano oggi indagati per favoreggiamento personale aggravato dalle finalità mafiose e hanno rischiato di vedersi piovere addosso anche una misura cautelare. Non a caso, nei loro confronti la Procura di Catanzaro aveva chiesto l’applicazione del divieto di dimora nei comuni di Paola e San Lucido.
Non è andata così, ma solo perché Il gip distrettuale, però, pur rilevando la presenza di «gravi indizi di colpevolezza» a loro carico e malgrado le aggravanti contestate, non ha dato seguito alla richiesta, lasciandoli entrambi a piede libero. Il giudice a ritenuto che l’episodio che li riguarda in negativo sia ormai lontano nel tempo e che cautelarli dopo un lustro non costituisca più un’esigenza. A ciò si aggiunge anche un altro dato «non trascurabile», come lo definisce il magistrato: e cioè che quella loro soffiata è rimasta da allora «un fatto isolato». Una sola, ma di quelle buone.