Nel cuore della zona industriale di Rende, una bottiglia incendiaria con accendino fissato con del nastro viene rinvenuta davanti al cancello di un’azienda operante nel settore impiantistico. Il fatto avviene nella notte del 7 novembre 2017, e per il gup distrettuale di Catanzaro si tratta di un episodio di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, maturato nel contesto della presunta confederazione mafiosa guidata da Francesco Patitucci.

Secondo quanto accertato nel processo Reset, la responsabilità dell’azione è da attribuire a Francesco Greco, esecutore materiale dell’intimidazione, e a Roberto Porcaro, individuato quale mandante dell’attentato. L’episodio si inserisce in un disegno più ampio: lo stesso giorno, Greco e i suoi complici avrebbero commesso un’ulteriore intimidazione seguendo un identico schema operativo.

Due sere per una minaccia

La preparazione dell’atto comincia il 6 novembre, quando Greco e Armando De Vuono (altro imputato del processo abbreviato Reset) si recano presso la sede dell’azienda per posizionare la bottiglietta. Tuttavia, la presenza di alcune telecamere li convince a desistere. La sera seguente, recuperano la bottiglia nascosta e la collocano davanti all’ingresso dell’azienda, completando così il gesto intimidatorio.

Greco ammette tutto

La prova regina sarebbe costituita dalla collaborazione dello stesso Greco, che in data 19 settembre 2023 dichiara: «Sono stato io a collocare la bottiglietta. Avevamo deciso tutto io e De Vuono». Il collaboratore precisa inoltre di essere stato «soggetto deputato al collocamento delle bottigliette incendiarie», facendo specifico riferimento al gruppo industriale in questione.

Il mandante è “il compare”

Il coinvolgimento di Roberto Porcaro viene dedotto da diverse circostanze. Mentre dava istruzioni a De Vuono, Greco affermava di essere solo un “luogotenente”, perché «le direttive erano state impartite dal compare». Il giudice Giacchetti rileva come, dalla lettura complessiva delle intercettazioni, non vi siano dubbi che il termine “compare” si riferisse proprio a Porcaro. Emblematico è anche il dettaglio che, subito dopo il compimento dell’intimidazione, Greco si recò presso l’abitazione di Porcaro.

La vittima non denuncia, ma la minaccia è provata

Sentito dai carabinieri nel 2019, la persona offesa conferma il ritrovamento della bottiglia davanti alla ditta, ma spiega di non aver denunciato l’episodio perché non aveva ricevuto richieste estorsive dirette. Il tribunale di Catanzaro precisa tuttavia che «tale omissione non inficia la piena configurabilità del reato», essendo dimostrata la natura intimidatoria dell’azione.

Metodo mafioso e aggravanti riconosciute

L’atto viene inquadrato come tipico gesto intimidatorio mafioso, con finalità di agevolare l’associazione criminale: «L’atto intimidatorio con bottiglia incendiaria è emblema dell’agire mafioso», si legge nella sentenza. È accertato che i proventi delle estorsioni «confluivano nella bacinella comune dei sottogruppi associativi di cui al capo 1».