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Il “copia e incolla” non è consentito. Con questa motivazione, il tribunale del Riesame di Catanzaro, sezione misure reali, ha accolto integralmente le tesi difensive degli avvocati di Giuseppe Massimo Maione, coinvolto nella maxi operazione antimafia denominata “Reset“. I legali Giorgia Greco, Enzo Belvedere e Tanja Argirò, hanno dimostrato come non vi fosse neanche un presupposto affinché il gip di Catanzaro, su indicazione della Dda di Catanzaro e della Guardia di Finanza, potesse emettere un decreto di sequestro dei beni nei confronti di uno dei 245 imputati che il prossimo 9 giugno dovranno comparire davanti al gup di Catanzaro Fabiana Giacchetti.
A Giuseppe Massimo Maione il gip di Catanzaro aveva sequestrato ai fini della confisca un’auto, un appartamento situato a Cosenza e i rapporti bancari/finanziari intestati all’uomo accusato dai pm antimafia del reato di lesioni aggravate, una vicenda già chiarita in fase cautelare dalla Cassazione con un annullamento senza rinvio dell’ordinanza di conferma del Riesame di Catanzaro. Secondo il collegio giudicante “il provvedimento impugnato è carente perché primo di autonoma valutazione rispetto all’atto d’indagine richiamato, essendo stato effettuato un mero richiamo alle deduzioni della polizia giudiziaria, omettendo di argomentare sui profili evidenziati dalla difesa con l’istanza di dissequestro.
Il provvedimento adottato dal Riesame comprende anche la dottrina giurisprudenziale, secondo cui sussiste l’obbligo del giudice di motivare in ordine al periculum in mora, in quanto tale requisito deve sempre costituire oggetto di specifico vaglio giurisprudenziale. In tal senso, fa notare il Riesame di Catanzaro, «il provvedimento genetico richiamato si limita a richiamare, condividendoli, gli accertamenti patrimoniali espletati dall’organo inquirente per ciascun indagato, omettendo qualsivoglia vaglio in ordine alla provenienza (lecita o illecita) dei singoli cespiti, e nelle ipotesi di beni formalmente intestati a terzi, ai concreti elementi che inducano a concludere per la loro effettiva riconducibilità agli indagati». Per i giudici dunque il provvedimento del gip di Catanzaro è stato del tutto generico e apodottico oltre che carente di ogni concreto riferimento ai singoli beni.