Il terremoto con epicentro a Pietrapaola della serata del primo agosto rientra nella normale attività sismica dei territori meridionali della penisola, interessati in questa particolare circostanza, dai processi di interazione della placca di tipo oceanico del mar Jonio con quella dell’arco calabro. Manifestazione di questi contesti tettonici e sismologici con cui dobbiamo comunque convivere, sono anche gli sciami sismici registrati nelle ultime settimane nella zona di Cirò ed anche più a nord-ovest, sempre in provincia di Cosenza. Tanta paura ma conseguenze nulle o comunque estremamente contenute nonostante l’intensità della magnitudo.

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Nel 2012 un’analoga scossa di terremoto con epicentro Mormanno, causò invece diversi danni. La spiegazione risiede nella differenza di profondità dei due fenomeni; nel caso di Pietrapaola l’energia si è sprigionata nel cuore del sottosuolo quasi trenta chilometri sotto la superficie terrestre, mentre a Mormanno la profondità non superò i sei chilometri. In parte questo spiega anche la più ampia diffusione delle onde il cui raggio ha raggiunto luoghi estremamente distanti dall’epicentro dove, in determinate condizioni, è stato comunque avvertito.

Abbiamo raccolto le valutazioni del responsabile del laboratorio di sismologia del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università della Calabria, Mario La Rocca, il quale ha parlato pure, tra l’altro, del fenomeno delle luci telluriche, bagliori avvistati nel cielo negli istanti immediatamente precedenti alle scosse di una certa potenza.

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