Sono 30 le società meridionali quotate, con una capitalizzazione complessiva di 1,7 miliardi di euro. Il Mezzogiorno cresce (seppur a due velocità) ma resta il macigno dell’accesso al credito
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Il Mezzogiorno si affaccia con più decisione sui mercati finanziari. Secondo l’Osservatorio IRTOP Consulting su Euronext Growth Milan (EGM) — il listino di Borsa Italiana pensato per le piccole e medie imprese ad alto potenziale — sono 30 le società meridionali quotate, con una capitalizzazione complessiva di 1,7 miliardi di euro e un fatturato aggregato di 1,8 miliardi. Numeri che segnalano una vivacità nuova, ma che non cancellano disomogeneità regionali profonde: su tutte, il caso critico della Calabria, ferma a una sola azienda quotata.
Il quadro nazionale mette il fenomeno in prospettiva. Il Nord continua a dominare: 129 società sul listino con 5,61 miliardi di capitalizzazione e 5,83 miliardi di fatturato. Il Centro conta 44 società, per 1,4 miliardi di valore e 2,38 miliardi di giro d’affari. Il Mezzogiorno resta dunque una porzione minoritaria del mercato, ma cresce con maggiore slancio e in settori strategici — tecnologia, green economy, digitalizzazione e agroalimentare di qualità — che attraggono investitori alla ricerca di nuove storie di crescita.
Campania e Sicilia in testa, Calabria all’ultimo posto
La mappa meridionale è a due velocità. La Campania guida la classifica con 15 società quotate: un ruolo da locomotiva che riflette sia la dimensione del tessuto imprenditoriale, sia una maggiore capacità di dialogare con il capitale. La Sicilia segue con 6 presenze; Abruzzo, Molise, Puglia e Sardegna portano ciascuna due aziende sul listino. La fotografia più preoccupante è però quella calabrese: una sola impresa quotata, un risultato che pesa come un metro della distanza ancora da colmare.
Gli analisti leggono i numeri come la conferma di alcuni processi in atto: le imprese meridionali stanno migliorando la capacità di attrarre capitali istituzionali, puntano con più convinzione su innovazione e internazionalizzazione e sanno valorizzare filiere locali (dalla qualità agroalimentare alle tecnologie ambientali) che trovano mercato. Inoltre, il mercato finanziario sembra aver iniziato a guardare con favore a storie di crescita capaci di combinare rendimento e impatto territoriale.
L’ostacolo del credito: il denaro più caro al Sud
Dietro al ritardo del Mezzogiorno c’è però un fattore che resta decisivo: l’accesso al credito. Per le imprese meridionali ottenere finanziamenti bancari significa affrontare condizioni più dure rispetto al resto del Paese. In Calabria, in particolare, il problema è ancora più evidente: il costo del denaro è praticamente il doppio rispetto al Centro-Nord.
Questa disparità non è solo un dettaglio tecnico: è una vera e propria palla al piede per lo sviluppo futuro, perché scoraggia nuovi investimenti, rallenta i piani di crescita delle PMI e limita le possibilità di quotazione in Borsa. In altre parole, anche le imprese più dinamiche partono con un handicap competitivo che riduce la loro capacità di crescere e competere sui mercati globali.
Il flop calabrese non nasce dunque dal nulla. Oltre ai problemi infrastrutturali, alla fuga di competenze e a un ecosistema dell’innovazione poco sviluppato, pesa come un macigno la questione del credito. Senza un riequilibrio dei costi finanziari e un maggiore sostegno a percorsi di capitalizzazione, difficilmente la regione potrà trasformare il proprio potenziale in una presenza significativa sui mercati.
Il boom di alcune PMI meridionali su EGM è un’opportunità che vale oltre il valore di mercato: significa posti di lavoro, rafforzamento di filiere e maggiore resilienza economica. Ma perché questa opportunità diventi diffusa e duratura è necessario chiudere il divario interno — e qui la Calabria è il banco di prova più urgente. Se il Sud vuole davvero contare nella nuova mappa economica italiana, non basta qualche eccellenza: servono sistemi regionali che sappiano trasformare idee e talento in imprese scalabili e appetibili per gli investitori.
Il Mezzogiorno mostra finalmente segnali incoraggianti sui mercati finanziari; la Campania e la Sicilia guidano questa fase di crescita. Ma la fotografia resta a due velocità: da un lato la vivacità di alcune aree, dall’altro il ritardo di territori come la Calabria, aggravato da un costo del denaro insostenibile. Senza un cambio di passo, il rischio è che la finanza passi per il Sud senza fermarsi dove ce ne sarebbe più bisogno.