Essere liberali non significa avere coscienze sopite. Non significa restare immobili mentre il dolore dilaga, né ridurre la libertà a un privilegio da difendere solo quando riguarda noi. Essere liberali vuol dire tenere viva la capacità di indignarsi, di sentire, di reagire.

Vuol dire riconoscere che i diritti fondamentali dell’uomo non appartengono a un popolo soltanto, ma sono universali e inviolabili. La difesa di quei diritti non è prerogativa di una bandiera politica piuttosto che di un’altra. Di fronte all’orrore di Gaza e della Palestina, come a quello delle tante altre terre ferite, non possiamo concederci il lusso dell’indifferenza. Un liberale autentico sa che la responsabilità non si esaurisce nell’amministrare il proprio presente. Significa sentirsi parte della vita degli altri, non lasciare che la sofferenza di un popolo resti confinata dietro le frontiere della nostra coscienza.

Da imprenditrice ho imparato che responsabilità non è soltanto rispondere di ciò che facciamo. È comprendere che ogni decisione porta con sé conseguenze che ricadono sugli altri. È accettare che il nostro operare non si limita al perimetro delle nostre scelte individuali, ma tocca comunità, famiglie, persone. La responsabilità vera, quella che ci interpella come cittadini e come donne e uomini liberi, è guardare le immagini del dolore e chiedersi prima di tutto: “Perché accade?”. Solo dopo, semmai, sospirare perché fortunatamente non è successo a noi. Questo è il passaggio che distingue la coscienza vigile dalla coscienza sopita, la democrazia viva dall’indifferenza.

La responsabilità non si ferma ai confini del nostro Paese: ci chiama a sentirci corresponsabili di ciò che accade nel mondo, anche quando non ci tocca direttamente. Corresponsabilità: una parola grande che spaventa, ma che restituisce il senso del nostro tempo. Un tempo in cui le crisi non hanno più confini. In cui le guerre non restano lontane. In cui la sofferenza di un popolo si riflette inevitabilmente sulla coscienza collettiva di tutti. Gaza è oggi il nome più evidente di questa corresponsabilità. Non serve essere esperti di geopolitica per capire che lì si consuma una tragedia umana di proporzioni inaccettabili.

Dietro ogni maceria c’è una vita spezzata, un futuro cancellato, un diritto negato. Un liberale non accetta che queste vite vengano trattate come “danni collaterali”. Non accetta che la ragion di Stato, le logiche di potere o la forza delle armi possano oscurare ciò che resta il fondamento di ogni ordine civile: la dignità della persona. Nessuna giustificazione politica, religiosa o economica può cancellare un diritto. Solo quando un diritto entra in conflitto con un altro, altrettanto fondamentale, è necessario bilanciare e decidere.

Gaza, come ogni luogo di guerra e oppressione, ci obbliga a prendere posizione. Essere liberali significa opporsi al cinismo che riduce i drammi a numeri. Significa dire che non ci sono vite sacrificabili. La neutralità non è consentita alle coscienze. La politica ha il dovere di andare oltre le parole di circostanza. L’Europa, l’Italia, le democrazie devono assumersi la responsabilità di agire, non solo di osservare. La pace non può essere rimandata o delegata. Gaza ci ricorda che la libertà degli individui si difende ogni giorno attraverso un esercizio di coscienza collettiva. E ci ricorda che la politica, se vuole essere all’altezza del suo nome, deve farsi carico di questo comune sentire trasformandolo in impegno. Perché essere liberali non significa avere coscienze tiepide. Significa considerare inaccettabile qualunque ingiustizia in qualunque parte del mondo, verso chiunque.

Candida Tucci

Imprenditrice