L'ex capogruppo analizza i motivi della sconfitta del campo progressista e rilancia l'idea di Principe del Governo ombra: «Occhiuto ha ridotto il consiglio regionale a semplice organo di ratifica, dobbiamo fare una costante opposizione sociale: forze fresche come Madeo sono indispensabili»
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Il dopo elezioni è traumatico per il centrosinistra calabrese. Certo era difficile ipotizzare una vittoria, ma una sconfitta di queste valutazioni nessuno se l'aspettava. Una sconfitta aggravata dai soliti veleni interni e dalla circostanza che anche stavolta la coalizione si ritroverà senza un leader di riferimento se, come sembra, Pasquale Tridico dovesse decidere di tornarersene a Bruxelles. Ne abbiamo parlato con Mimmo Bevacqua, capogruppo del Pd nell'ultima legislatura regionale.
Bevacqua, da dove ripartire dopo una sconfitta così pesante?
«Dalla consapevolezza che in politica non si può improvvisare. E soprattutto non si può improvvisare una coalizione larga e plurale se non si ha un programma da offrire ai calabresi. Dobbiamo quindi ripartire da una convinzione di fondo: lavorare per unire sì, ma con la determinazione di offrire ai calabresi programmi chiari e netti. Le ambiguità, in una terra fragile e debole come la nostra, vengono subito rispedite al mittente. Naturalmente mi sento di esprimere a Pasquale Tridico la mia gratitudine per aver messo a disposizione un servizio della coalizione, pur in un contesto segnato da difficoltà e precarietà».
Lei perché alla fine non si è candidato?
«Sarebbe stata la mia quinta campagna elettorale e avevo già deciso che a scadenza naturale non mi sarei ricandidato. Credo che in politica arrivi un momento in cui bisogna fare un passo indietro per lasciare spazio a nuove energie. La gente si stanca di vedere sempre gli stessi nomi sulla scheda, e il rinnovamento non può rimanere una dichiarazione d'intento».
Si è pentito?
«Devo ammettere che, vista la fine anticipata della consiliatura, la tentazione di ricandidarmi c'è stata. Ma alla fine ho confermato la mia scelta, condividendola con i vertici nazionali del partito, che l'hanno apprezzata come un segnale di generosità e di apertura al rinnovamento del gruppo dirigente calabrese. Mi ha molto colpito, lo confesso ora per la prima volta, la telefonata di Elly Schlein il giorno dopo la mia decisione: è stata lunga, cordiale e sincera. Così come mi hanno emozionato i tantissimi messaggi ricevuti in quei giorni. È stato un segno di affetto e di rispetto che mi ha reso sereno nella mia scelta. No, non mi sono pentito».
Oggi fioccano le analisi e le critiche, ma in tanti nella campagna elettorale si sono nascosti. Penso ai sindaci ea molta nuova classe dirigente a cui lei prima faceva riferimento. Che ne pensi?
«Credo sia sbagliato porsi oggi con queste analisi che lasciano il tempo che trovano. Io credo che la politica debba recuperare una dimensione di verità e di coraggio: chi ha ruoli, chi amministra, chi rappresenta una comunità non può restare spettatore. Servono protagonismo, partecipazione e capacità di metterci la faccia. È da qui che nasce la credibilità di un progetto collettivo. D'altronde le leadership si formano così, non con la propaganda o la strumentalità».
Allora gliene propongo un'altra di lettura. L'accusa che ricorre spesso è quella di una opposizione debole verso Occhiuto. Questa ricostruzione lei l'ha sempre smentita. Quanto ha sentito, però, vicino il partito in questi anni?
«Chi parla di opposizione debole probabilmente non ha seguito il lavoro che abbiamo svolto. Se fosse così vuol dire che anche noi abbiamo sbagliato qualcosa nella comunicazione. Non abbiamo mai fatto un'opposizione urlata, ma un'opposizione documentata, fondata su atti, denunce e proposte. Nel corso della legislatura abbiamo presentato 39 progetti di legge, oltre 260 interrogazioni, mozioni e ordini del giorno su sanità, infrastrutture, ambiente, riforme istituzionali. Un lavoro consultabile sul sito del gruppo all'interno del Libro Bianco. Abbiamo chiesto Consigli straordinari su Pnrr, sanità, trasporti, denunciato il ritardo della Regione su temi nevralgici e smascherato le contraddizioni di un governo regionale che ha accentrato tutti i poteri nelle mani del presidente, svuotando di fatto il ruolo del Consiglio. Abbiamo difeso la sanità pubblica, opponendoci a provvedimenti iniqui e promuovendo, anche insieme alle altre opposizioni, iniziative concrete come il “viaggio negli ospedali” o il confronto con Marina Sereni ei capigruppo Pd di altre regioni per costruire una proposta di riforma organica. Ma ripetere se qualcuno vuole rendersi conto basta consultare il libro bianco».
Allora cassata anche questa, mi dia lei una lettura...
«Il problema non è stata l'assenza dell'opposizione, ma la fragilità di una ossatura democratica forte e radicata e tale da fare rete sui territori e sulle varie problematiche calabresi. A partire dall'assenza dei partiti e di una certa stampa piegata al potere di turno. A me ad esempio convince l'idea lanciata, in questi giorni, da Principe sul governo ombra che faccia da contraltare a quello del centrodestra. E poi la fragilità del sistema istituzionale calabrese: un presidente che accentra e un Consiglio che viene ridotto a organo di ratifica. Finché non si riequilibrerà questo assetto, chiunque sieda all'opposizione sarà costretto a combattere a mani legate. Più che protestare ed abbandonare l'aula sui tanti provvedimenti omnibus, sono stati le ricordo ben 12, non sapevamo cosa fare di più. Ma i risultati, in termini di elaborazione politica e di contenuti, parlano da soli. Mi auguro e tifo che la nuova minoranza e gli amici eletti del PD facciamo meglio di noi. Ne sarei felice».
Marche e Calabria: è la fine del campo largo?
«No, affatto. È un momento complesso, ma la bontà del progetto resta intatta e trova conferma nella vittoria di Eugenio Giani in Toscana. Lì se è vista una coalizione larga, plurale, seppure costruita senza discussioni, ma capace di parlare alla società civile e di difendere i valori del riformismo e della solidarietà. In Calabria non abbiamo avuto lo stesso tempo e le stesse condizioni: la caduta anticipata del Consiglio determinata dalle dimissioni di Occhiuto che vanno contro l'articolo 54 della Costituzione che parla di disciplina ed onore, la convocazione improvvisa delle elezioni in pieno agosto hanno pesato moltissimo. Ma ciò non significa che l'idea sia sbagliata».
Come perfezionarla però…
«Il campo largo deve diventare un processo politico stabile, non un cartello elettorale, non una somma aritmetica . Deve fondarsi su un confronto autentico tra culture diverse: progressista, civica, ambientalista, cattolico-democratica, che condividano una visione comune del Paese e del Mezzogiorno. Serve metodo, organizzazione con una agenda chiara e pochi punti. Non slogan, ma un nuovo patto con la Calabria reale, quella che ogni giorno tiene in piedi questa terra nonostante tutto».
Ha condiviso il modo in cui Tridico ha impostato la campagna elettorale?
«Sì, l'ho condiviso. Tridico ha affrontato questa sfida con serietà e spirito di servizio, nonostante il poco tempo a disposizione e un contesto politico complesso. Ha girato la Calabria con energia, parlando di lavoro, sviluppo sostenibile, diritti, legalità. Ha riportato il confronto su temi concreti, restituendo dignità alla discussione pubblica. Ha pagato il prezzo di una coalizione nata all'improvviso, ma ha avuto il coraggio di metterci la faccia e di affrontare la sfida fino in fondo. La sua campagna ha mostrato che in Calabria c'è ancora spazio per un modo diverso di fare politica: sobrio, competente, civile. E di questo gli va dato atto».
Lei ha contribuito all'elezione di uno dei pochi volti nuovi del Consiglio regionale, Rosellina Madeo. Come si fa ad avvicinare i giovani al centrosinistra?
«Bisogna riconquistare la fiducia dei giovani con coerenza e con investimenti veri nel rinnovamento. La nuova generazione è spesso più preparata, più competente e anche più motivata di quella che l'ha preceduta. E i giovani fanno politica, eccome: la fanno nei movimenti universitari, nelle battaglie ambientali, nei luoghi della partecipazione civica. Il tema, dunque, non è se i giovani sono interessati alla politica, ma se il centrosinistra calabrese e il PD sono in grado di offrire loro spazi, esempi e motivazioni. Avvicinare i giovani alla politica non significa “usarli” come simbolo del cambiamento, ma renderli protagonisti di un percorso reale, affidando le loro responsabilità e spazi di crescita. In questo senso l'elezione di Rosellina Madeo rappresenta un segnale importante. È il frutto di un percorso di rinnovamento reale che abbiamo avviato in provincia di Cosenza e che può diventare un modello. Ed io ne sono contento se insieme a tanti amici abbiamo contribuito alla sua elezione A Rosellina ora il compito di portare avanti questo progetto con forza e determinazione, sapendo che dietro di lei ha un PD cosentino rinnovato e il supporto di tanti amministratori e candidati al consiglio regionale che se pur con ottime affermazioni personali non sono stati eletti».