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Pino Iacino se ne sta defilato in fondo alla sala conferenze di Confindustria. Non ricorda di aver mai sentito parlare di città unica negli anni in cui – dal 1975 al 1980 – fu alla guida di Palazzo dei Bruzi. Quella che mezzo secolo fa sarebbe apparsa un’idea bizzarra oggi sembra essere un’ipotesi realistica. L’ex sindaco socialista non ne fa un dramma, anzi: «Cosenza è in crisi. La fusione con Rende e Castrolibero potrebbe dare nuovo slancio a una città trasformatasi ormai in un grande parcheggio a cielo aperto». A suo giudizio, l’Unical dovrà essere ribattezzata Università di Cosenza, ma questo è un altro discorso che di certo manderebbe su tutte le furie Sandro Principe, socialista pure lui.
Un paio di file più avanti, Carlo Petrassi – che la settimana scorsa ha inviato alla stampa un comunicato dal titolo “E sa la città unica la chiamassimo Rende?” – adesso spera di non aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma forse voleva soltanto rinvigorire il senso di appartenenza dei rendesi. Se la sua provocazione abbia avuto qualche seguito, al momento non è dato saperlo. Mimmo Talarico, che l’inchiesta Reset e il successivo scioglimento del Consiglio comunale di Rende hanno alleggerito dal ruolo di capogruppo di AttivaRende, strappa una risata alla platea: «Sono venuto a portare il punto di vista di quelli del nord». Lui che il sogno di fare il sindaco lo ha a lungo accarezzato (e mai realizzato) indica l’esempio di Castrolibero dove le ultime elezioni amministrative si sono trasformate in un plebiscito: «Dopo che l’ottanta percento dei cittadini ha votato per Orlandino Greco, chi glielo va a dire che abbiamo scherzato?»

Il consigliere comunale di Cosenza Domenico Frammartino – consapevole dell’inutilità di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati – annuncia con enfasi: «Ho presentato un ordine del giorno sulla necessità di realizzare il secondo svincolo a sud dell’A2». Un progetto vecchio quarant’anni che neanche il sindaco Giacomo Mancini – nonostante i miliardi di lire allora stanziati – riuscì a vedere realizzato. Ora che la Regione punta dritto alla fusione – con quella che Paolo Palma, presidente dell’associazione Dossetti definisce «una strana accelerazione» – il nuovo svincolo a sud appare come la difesa di un’ultima roccaforte, considerato che la battaglia di Vaglio Lise per la costruzione dell’ospedale potrebbe presto trasformarsi in una disfatta.
L’ex parlamentare democristiano s’infervora quando illustra i sei punti critici che la Dossetti ha scovato tra le pieghe della proposta di legge depositata a Palazzo Campanella. E al diavolo quella voce roca che lo costringe a scartare una caramella dietro l’altra. Paolo Palma non ha pregiudizi e chiama a testimoniare gli amici di una vita: «Ogni volta che sono loro ospite a Malito, continuo a domandare quando si decideranno a fare un Comune unico con Altilia, Grimaldi e Belsito. Lì ce ne sarebbe veramente bisogno, è una questione di sopravvivenza. Ma nel caso di grandi città, la questione cambia. In tutta Europa le fusioni sono avvenute soltanto tra piccoli Comuni, quello di Corigliano-Rossano è stato un caso isolato, e non mi sembra che le cose stiano andando poi così bene».
«Comunque sia, non è che uno si alza la mattina e dice “Oggi faccio la città unica”. Il referendum andrebbe indetto in ogni singolo Comune, perché altrimenti si nega alle comunità minori il diritto di decidere sul proprio futuro. La storia recente lo dimostra. Spezzano Piccolo ha smesso di esistere nonostante i suoi abitanti si fossero opposti alla nascita del Comune di Casali del Manco. Soltanto ieri il Tar ha bocciato il referendum con cui la frazione Campora San Giovanni di Amantea avrebbe voluto sancire il passaggio nel Comune di Serra d’Aiello. Il Tribunale amministrativo ha affermato un principio fondamentale: le fusioni hanno bisogno di uno studio preventivo socio-economico, sono processi culturali. Il cemento e i numeri non c’entrano niente».
E a quanti sostengono che la città unica è garanzia di finanziamenti straordinari, il presidente dell’associazione Dossetti ribatte: «È soltanto un modo per rabbonire i cittadini. Quando si è trattato di realizzare il viale Mancini-Principe i soldi dall’Unione Europea sono arrivati lo stesso, nonostante Cosenza e Rende fossero due Comuni autonomi». La convinzione generale è che la fusione sia già avvenuta nei fatti, ma l’ex parlamentare democristiano la pensa in un altro modo: «Attenzione a non confondere un continuum edilizio con la città unica».
Il modello che Paolo Palma ha in mente è differente e fa parte di un accordo di partenariato tra l’Italia e la Commissione Europea: «Cosenza è uno dei 241 poli italiani identificati come centri di erogazione di servizi primari – sanità, istruzione, mobilità – la sua area urbana viene definita Area di Cintura. Oltre a Rende e Castrolibero, vi rientrano altri 28 Comuni: i Casali a est, la zona del Savuto e Piano Lago a Sud e le Serre cosentine a ovest. Quello che ha impastato la Regione invece è soltanto un lungo spaghetto che corre verso nord». E Paolo Palma non ha alcuna intenzione di mangiarlo, perché di certo gli risulterebbe indigesto.