Le fiamme della scenografia si alzano alte, rosse come lingue infernali: non siamo forse all’ingresso del sesto canto della Commedia, quando “già discendeva l’aura d’inferno”? È in questo incandescente scenario che prende avvio l’attesissima puntata di Perfidia (QUI PER RIVEDERLA), il programma condotto da Antonella Grippo, sacerdotessa lontana dalle liturgie attenuate della politica e dissacratrice a un tempo, che veste lo studio non soltanto di eleganza, ma di una gravità teatrale, tra solennità e "perfidia". Eppure, non vi è qui il consueto registro della trasmissione: Perfidia abbandona la liturgia e si rivolge alla politica come a un rito nuovo, fondato sull’intelligenza e sulla misura, lontano dal chiasso volgare e dal clamore che troppo spesso ammanta i talk-show politici.

I tre triellanti — Roberto Occhiuto, Pasquale Tridico, Francesco Toscano — siedono già nelle poltrone, introdotti da Antonella Grippo. Ogni presentazione è seguita da uno stacchetto musicale scelto con cura: nulla appare casuale. Roberto Occhiuto è accolto sulle note di "C’è un diavolo in me" di Zucchero; Toscano con "Casacciò il ballo della steppa"; mentre Tridico con "L’alligalli". Ogni brano diventa sigillo allegorico, eco dell’anima politica che sta per manifestarsi. Tutto, in Perfidia, ondeggia tra conoscenza approfondita, contaminazione di linguaggi, intreccio di politica, professionalità, cultura e ironia.

L’intervista nella trasmissione che ieri ha registrato ascolti record con punte di 150mila telespettatori, si apre in modo anomalo rispetto alle tante viste negli ultimi giorni: niente urla, niente duelli scomposti. Ai candidati è concesso tempo uguale per esprimersi, e al suono del gong, in studio, ognuno deve fermarsi. Un ordine raro, quasi ascetico per i talk-show. Antonella, con fare sacrilego, nel senso più alto e spietato della parola, conduce il gioco dei paradossi.

Il primo: la politica assediata dal consenso. Oggi il politico cerca a tutti i costi la benevolenza del cittadino, e l’assillo dei numeri rischia di svilire la nobiltà stessa della politica. Qui la conduttrice introduce De Tocqueville: l’ossessione del consenso come “dispotismo del popolo”, quella distorsione della democrazia che trasforma il cittadino da attore a tiranno silenzioso. Un concetto che dialoga con Hobbes e Spinoza: per il primo, senza un’autorità superiore, l’uomo ridotto a moltitudine è lupo per l’uomo; per il secondo, al contrario, la moltitudine diventa potenza comune, “la forza stessa dello Stato”.

Tridico risponde per primo: filosofia politica, coerenza, cuore e non pancia. “L’etica al primo posto, e i giovani davanti a tutto”. Ricorda la sua esperienza fuori dalla Calabria e il piacere di tornare. Occhiuto, invece, rivendica di aver già mostrato ai calabresi come superare l’ossessione del consenso. Toscano rompe la compostezza: acceso, pronto a scagliarsi contro entrambi, afferma che il vero coraggio è quello di contrastare i poteri reali, non di blandire gli elettori.

La conduttrice rilancia con un’altra riflessione: occorre il coraggio delle scelte impopolari. Si apre allora il tema della “grammatica delle moltitudini”. Qui il confronto si fa alto: Hobbes vedeva nella massa informe il pericolo dell’anarchia, Spinoza invece vi scorgeva il luogo dove il singolo trova la propria libertà. È la dialettica eterna tra individuo e società: per Hobbes il Leviatano deve contenere la moltitudine; per Spinoza, invece, la moltitudine è ciò che rende lo Stato più potente della somma delle parti.

Toscano non arretra, anzi si scalda: “Il coraggio è dire no ai padroni, non ai cittadini.” Attacca entrambi i rivali, accusandoli di non aver ancora compreso le fondamenta stesse della politica.

Si prosegue per paradossi, toccando, ora, l’assottigliamento dei poteri della politica. In realtà, dice la Grippo, si assiste a una ipertrofia del potere, con la politica vissuta come santuario cui il cittadino si rivolge come a un dio minore. Il paradosso è reale? Tridico risponde: “In Calabria non ci sono diritti, ma favori.” Una frase che pesa come piombo. “Quando sarò presidente della Calabria”, aggiunge con tono netto (intanto le telecamere inquadrano Occhiuto che sorride) "tutto ciò non accadrà più. Il cittadino deve avere la possibilità di essere assistito dalle istituzioni senza chiedere il favore".

Segue un tema alto: la distinzione tra tecnico e politico. Il tecnico indica come le cose devono essere fatte, il politico decide. Occhiuto viene dipinto come decisionista, e il decisionismo rimanda immediatamente alle riflessioni di Carl Schmitt sul sovrano che decide nello stato d’eccezione. La Grippo non teme di collocare la discussione sul terreno della grande filosofia politica.

E non basta: in Calabria la magistratura non deve avere mire punitive verso la politica, ma assecondare le procedure del diritto — dice Antonella Grippo citando le parole del procuratore Musolino, con un cenno alle vicende giudiziarie di Occhiuto. Tridico si dice d’accordo con le parole di Musolino, ma critica le dimissioni e la ricandidatura del governatore. Toscano scuote il tavolo: “Non esiste una magistratura pura e una politica corrotta, la realtà è più complessa.”

Arriva il quarto paradosso: l’astensionismo. Spesso trattato con atteggiamento censorio e moralistico, è invece un voto di opinione, un diniego verso la politica. Come scriveva Spinoza, “non ridere, non piangere, non detestare, ma comprendere”. L’astensione è un voto di opinione, un atto di rifiuto.

Tridico distingue due categorie: chi pensa che nulla cambi comunque, e chi, marginalizzato, rinuncia al voto. “In Calabria il voto di scambio tocca i percettori di reddito di cittadinanza, che finiscono per non votare, parte di una società ai margini.”

Occhiuto, nel corso della trasmissione, elenca numerosi esempi della sua gestione politica della Calabria. Prosegue poi: “Il welfare si fa creando lavoro, non con il reddito di dignità.” Ricorda che la disoccupazione in Calabria è al 50%, frutto di decenni di politiche sbagliate. Indica nel Patto di stabilità il vero nemico da abbattere.

La conduttrice pone un’altra domanda cruciale: la sanità va affidata a tecnici e specialisti o serve una visione politica d’insieme? Qui emerge un altro paradosso.

Aristotele direbbe che il politico è colui che mira al bene comune, mentre il tecnico è mero esecutore.

E ancora: le alleanze, il cosiddetto “campo largo”, anomalia calabrese. Occhiuto ribatte: “Chi dice queste cose ignora che i rapporti sono anche personali, oltre che professionali.” Per lui la vera anomalia è un campo largo nato solo per abbattere il centrodestra. Tridico rivendica invece la convergenza assoluta sul suo nome: “Nessuno ha posto un veto, nessuno si è opposto.”

Il dibattito ritorna, con eleganza, sulla sanità.

Toscano attacca entrambi gli avversari, invitandoli ad aderire alle sue posizioni. Occhiuto difende il proprio operato da commissario della sanità; Tridico sottolinea quanto ancora resti da fare.

Si discute di infrastrutture: il ponte sullo Stretto divide. Per Occhiuto e il centrodestra è tema cruciale; Tridico ribatte: “Il problema vero sono i trasporti interni della regione, il ponte non è la priorità.”

Occhiuto rilancia il “reddito di merito”: 500 euro al mese per chi si iscriverà alle università in Calabria, rimanendo qui. Un orizzonte per fermare lo spopolamento e trattenere i giovani.

Si giunge così alla resa dei conti: Antonella, con grazia e spietata lucidità, chiede le ragioni ultime del voto. Toscano parte: fiducia, centralità del cittadino, entusiasmo. “Con noi mai giudizi tecnici.” Occhiuto: coscienza dei problemi e riforme avviate, una Calabria da amare e mostrare al Paese come terra di opportunità. Futuro industriale, stop allo spopolamento, politiche giovanili.

Tridico: immaginare il futuro come un futuro pensabile sul piano industriale della nostra regione. Fermare lo spopolamento delle aree interne. Fare nascere, attorno ai giovani, delle politiche nuove, perché qui può esserci un futuro vero, dando dignità e speranza ai cittadini.


Il talk 

Antonella Grippo apre infine al talk delle quattro donne politiche: Vittoria Baldino per i Cinque Stelle, Rosanna Mazzia per il PD, Maria Limardo per la Lega, Giusy Staropoli Calafati per Forza Azzurri. Si discute delle alleanze: Baldino parla di collaborazione; Limardo accusa Tridico di distribuire “reddito di dignità” e ricorda i risultati di Occhiuto; Mazzia chiede concretezza e critica il centrodestra senza linea precisa; Staropoli, con forza, attacca il reddito di dignità: “Ai figli servono opportunità, non mancette.”

Il talk si dipana tra posizioni partitiche, confuse e stratificate. Alla fine la Grippo conclude, ricordando che Perfidia raddoppia: giovedì e venerdì prossimo, con i leader nazionali in arrivo.

Ed è con questa promessa che si chiude la lunga e affascinante trasmissione, interamente votata all’eleganza e alla compostezza, dove la politica non è più rissa, ma teatro della mente. Ancora una volta, ci torna in mente la citazione di Spinoza: “Non ridere, non piangere, ma comprendere,” ammoniva Spinoza. Forse è proprio questo il dono di Perfidia: un comprendere alto e profondo, che illumina i paradossi del presente e restituisce alla politica la dignità perduta.

Così, quando le luci dello studio si spengono e l’eco delle parole si dissolve, rimane l’impronta luminosa e divampante di Perfidia, come teatro della ragione e dell’anima, un’ἀγορά (agorà) profana in cui la politica si è fatta verbo alto e dialogo serrato, contaminazione fertile tra filosofia, storia e ironia. E al centro di questo rito, Antonella Grippo si rende capace di coniugare l’eleganza con la ferocia, la grazia con l’ardimento, senza moderare, ma orchestrando armonicamente e disarmonicamente il tutto, trasformando il caos della contesa in un coro armonico. Così ci risuona la voce sommessa di Gadda: “Quer pasticciaccio perfido de via Calabra”. Ma qui il pasticciaccio, lungi dall’essere brutto, diventa sublime: un intreccio di ardimento comunicativo e politico, contraddizioni e visioni che, almeno per una sera, hanno restituito dignità alla parola politica.