Tutti gli articoli di Societa
PHOTO
C’era una volta (e c’è ancora) a Colle Mussano. Di colli ce ne stanno sette e per la storia è sul Gramazio che i primi pastori bruzi piantano le tende. Quello più caro agli dei, però, è certamente il Mussano. Lì riposano i nostri morti. La storia dice pure questo, anche se è storia recente. Prima, infatti, il camposanto stava dove oggi sorge l’ospedale dell’Annunziata. Quando cappelle e lapidi traslocano, tutto l’affare è gestito da privati. È il primo scandalo edilizio della storia di Cosenza. E non sarà l’ultimo.
Colle Mussano, con le stradine che gli fasciano i fianchi giù fino al sacrario dei fratelli Bandiera, sua sede distaccata, regala un panorama mozzafiato del centro storico. In un giorno di sole, qui può venire anche voglia di morire. Sull’ermo colle non riposa Bernardino Telesio, che nel ‘500 quelli del suo rango li sistemavano altrove. Stava nel Duomo il gran filosofo cosentino, prima che la salma fosse trafugata dopo le maestose esequie in cattedrale. Forse, da un vescovo in odor di controriforma. Neanche Alarico il barbaro, sua altezza reale, vi trova pace e sonno eterno. Per lui, basta gettare un fiore nel Busento.
Il podestà e l’anarchico
Una volta varcato il vecchio cancello ci si imbatte nella tomba Mancini, dove una famiglia illustre dorme beata: Pietro, Giuseppina e Giacomo. Per loro, sempre garofani freschi. Riposano accanto a Paolo Cappello, diventato suo malgrado un simbolo socialista quando nel ’24 muore a causa di un proiettile fascista. E di fascisti parlando, nella cappella Arnoni se ne sta disteso Tommaso, il podestà che volle l’acquedotto e l’ospedale salvo andarsene poi nel ’47. C’è Franco Vaccaro, primo sindaco della Cosenza liberata e nella cappella del Bambin Gesù un ragazzo occhialuto, quelli del tipo riservato. Il suo non è il sacrario di Cappello, ma un anonimo loculo a muro con i fiori sempre freschi. Era uno della bandiera nera con la A cerchiata in mezzo. Muore in circostanze ritenute da sempre strane e misteriose, quando la sua auto si schianta contro un tir alle porte di Roma. Sapeva qualcosa del treno deragliato a Gioia Tauro, si dirà in seguito, ma a quel punto Luigi Lo Celso dorme già in un letto di margherite gialle. E non può più confermarlo.
Futuristi e massoni
Se passate dalla Cappella degli angeli, in una delle parti più antiche e diroccate del cimitero, via il cappello davanti a Giuseppe Carrieri, poeta e futurista della prima ora, tra i prediletti del sommo F.T. Marinetti. Il dimenticatoio in cui giace è solo cimiteriale. C’è lo storico Luigi Maria Greco, autore degli annali cosentini e già professore al Real liceo “B. Telesio”. Dopo la dipartita, di lui si ricorderà la toponomastica. Chi si arrampica sul Pincetto (o piccolo Pincio), si ritrova fra squadre e compassi. Il cimitero dei massoni ha in primo piano Pietro De Roberto, padre del libero pensiero cosentino e tutt’intorno busti marmorei di altri fratelli estinti. Da Parigi, sono tornate anche le ceneri di Francesco Salfi, potente scrittore vissuto a cavallo tra le baionette napoletane e la rabbia sanfedista.
Il grande assente
Chi vuole, può andare a rendere omaggio ai sepolcri di Florindo Antoniozzi, Luigi De Matera, Salvatore e Pasquale Perugini, politici e non, legati all’epopea della Carical. Nella zona più vecchia del cimitero è facile imbattersi anche nel maestro Cesare Baccelli o adocchiare la lapide di Giannetto Laratta, progettista del boom edilizio cosentino. Manca invece l’emblema della cosentinità che, beffardo fino all’ultimo, non era cosentino d’origine. Di Perito, frazione di Pedace era Michele De Marco in arte Ciardullo; ed è lì giustamente fu sepolto. Un’orchidea rossa adorna la coppa di Filippo Amantea Mannelli, saggista e poeta, quando si è già al tramonto. A Colle Mussano, sul far della sera, s’alza il vento e i cipressi fischiano.
La ballata di Fred Scotti
L’ora giusta per la ballata di Ciccio Fred Scotti, braccia possenti da macellaio e voce da usignolo. Faceva il “domatore” della leonessa parcheggiata nella Villa Vecchia dopo che il Circo Togni l’aveva regalata alla città. Vecchia e sdentata, praticamente innocua, Ciccio la schiaffeggiava con affetto, di tanto in tanto, entrando tutto impettito nella sua gabbia, un po’ Tarzan e un po’ bullo. Cantava le canzoni di malavita e a Carnevale sfilava vestito da bandito in sella a un cavallo bianco. Sparava in aria veri colpi di rivoltella, come quello che nell’aprile ’71 gli ficca in corpo un brav’uomo stanco di subire le sue angherie. Una sera, un po’ alticcio lo segue fino a casa, canzonandolo a più non posso. Poi comincia a insolentire pure la sua signora e allora quello non ci vede più. Bang, bang. Guardati dall’ira del mansueto. Le sue canzoni avranno gloria postuma in Francia. Chi passa oggi da Marsiglia, chieda in giro se qualcuno conosce Fred Scotti. È probabile che in tanti rispondano «oui».
L’amico Fritz
C’è chi c’era e adesso non c’è più. Otto, Richard, Siegfrid e, naturalmente Fritz. Si chiamavano così alcuni dei soldati della Wermacht morti a Cosenza durante i bombardamenti del ’43. Di errori e orrori a loro non se ne possono imputate, se non uno: quello di essere morti a vent’anni, lontani da casa. Qui da noi, l’amico Fritz e i suoi commilitoni ebbero per un po’ di mesi un fazzoletto di terra tutto loro, prima che i rispettivi familiari venissero a riprendersi le spoglie per riportarle in Germania. I loro nomi sono ancora incisi nei registri del cimitero, ma le croci di ferro arrugginite le hanno buttate via. Proprio all’ingresso principale, sulla destra, c’è una stele che commemora i soldati austriaci caduti nella guerra del ‘15-’18. La memoria dell’amico Fritz, invece, ora è chissà dove assieme alle croci.
Un impiegato
Una donna bionda passa a salutarlo ogni volta che va al cimitero, anche perché la tomba di Piero T. è sulla traiettoria di quella dei suoi genitori. E quindi un fiore per lui c’è sempre. Ci fu un tempo in cui accompagnava lei e le sue amiche alle feste fra ragazzi, quelle che si facevano in casa con giradischi e fazzoletto. Ci restavano fino a mezzanotte, prima di percorrere al contrario la corso Mazzini poco illuminata e con gli alberelli ai lati, che non metteva paura perché era la strada che riportava a casa. E poi con loro c’era Piero, una garanzia. Sembrava molto più grande degli anni suoi e non era bello, ma buono e rassicurante. Uno al quale persino negli anni Settanta, così grigi e sospettosi, avresti affidato tua figlia senza esitare. Sembrava già adulto a vent’anni, Piero l’impiegato. E se n’è andato prima di diventare giovane per davvero.
Ci vuole un fiore
Il due novembre, quando su colle Mussano cala il buio, la gente non sciama più nell’alveare dei defunti. I morti restano lì da soli in compagnia di un fiore. Per alcuni è solo artificiale, lo stesso da almeno tre anni. Inodore, sbiadito e polveroso, però è sempre lì: vessillo di fedeltà fatta plastica. C’era una volta (e c’è ancora) a Colle Mussano. Dove ogni due novembre, nel trionfo dei morti, i fiori veri appassiscono prima che negli altri giorni.