Il re della consolle si esibirà domani al Teatro dei Ruderi di Diamante: «A questa regione mi legano ricordi personali, amicizie e un’energia speciale. Non inseguo i sold-out, per me la musica è un flusso da dirigere come la luna fa con le maree. Voglio incontrare Dario»
Tutti gli articoli di Societa
PHOTO
Al Capitano Gigi D’Agostino piace tenere i piedi ben saldi a terra. Non ama prendere l’aereo, ma far volare gli altri sì e lo fa da quaranta primavere. Domani i suoi fan saranno ancora lì per lui, al Teatro dei Ruderi di Cirella, per un mega live accarezzato dal soffio leggero dello zefiro e dal profumo del Mediterraneo.
Finalmente il ritorno in Calabria. Al di là della retorica, so che tu con la nostra regione hai un rapporto di affetto che arriva da lontano.
«A questa regione mi legano mille ragioni. La prima è il mio papà: non era fisarmonicista di professione, ma aveva studiato musica e suonava. Da giovane, partendo per il militare, è stato assegnato in Calabria nella banda militare. Mi raccontava spesso di quell’esperienza con grande trasporto. Poi io stesso qui, nel tempo, ho stretto delle belle amicizie. Ricordo ancora la prima serata in Calabria, credo sia stata nel ’98. Fu magica».
Basta leggere i tantissimi commenti sotto ai tuoi post per capire che c’è qualcosa di particolare nel tuo rapporto con i fan: si legge affetto vero, come nelle vecchie amicizie.
«E questo lo sento da sempre anche io. Il filo che ci unisce è la musica, ma attraverso di essa passa anche altro. Quando incontro qualcuno, magari per caso in autogrill o in treno, è come se ci conoscessimo da sempre. Ci connette un’energia speciale che forse si allaccia al passato, a una certa epoca a cui ci sentiamo ancora legati».
Ci sono i social, ma tu resti ancora molto analogico.
«È vero (ride ndr)! Mi piace il termine “analogico”, è proprio adatto a me. Anche perché non sono molto bravo a maneggiare i social, al contrario, faccio disastri».
In qualche modo forse rappresenti, attraverso la musica, un periodo che quella generazione – quella degli ‘80 e ’90 – ancora oggi non vuole lasciare andare.
«Sono molto legato alle emozioni di quegli anni lì. Credo che ricreare l’atmosfera di un tempo che è stato così importante per tante persone, crei un legame speciale. Nei miei eventi, anche se suono brani nuovi, quel “respiro” resta sempre. Fa parte di me, del mio stile».
Come uno scrittore che cambia storie ma resta fedele alla propria voce. Ma come lo vedi cambiato il pubblico dagli anni ’90 a oggi?
«La differenza principale è tecnica. Con internet e i telefoni pieni di musica, oggi si è meno predisposti ad ascoltare un brano intero. Negli anni ’90 ti godevi tutto, adesso si fa “skip” di continuo. E questo si riflette anche nei live: un tempo le tracce duravano di più, oggi il ritmo è più serrato. Non è un male, ma cambia il modo di vivere la musica».
Ultimamente si parla di giovani artisti “spinti” dalle etichette verso grandi live in stadi che poi non si riempiono, sembrano bolle che scoppiano in fretta. Tu che ne pensi?
«Penso che la storia dei giovani “vittime” delle etichette sia una favola che non regge. Nessuno ti obbliga: sei tu che decidi se accettare o no qualcosa. Magari ti convincono che puoi riempire uno stadio, ma serve misura di sé. Io stesso ho rifiutato di farlo: l’anno scorso mi proposero uno stadio, ma ho scelto un’altra location più adatta. Questo mestiere è un privilegio, e bisogna ricordarselo. Penso che quello che stia rovinando davvero la musica si possa racchiudere in due parole: sold-out. L’ossessione del tutto esaurito è logorante. Si suona con tanto pubblico, poco pubblico, anche una sola persona con la stessa passione. Essere un artista vuol dire anche avere il temperamento d’artista».
Ti è capitato di suonare con poco pubblico?
«Come no. Negli anni ’80 a Torino lavoravo tutte le sere, anche quando c’erano tre clienti. È una cosa che forgia: se sai gestire una serata così, sai gestire qualsiasi pubblico. Non è una serata “brutta”, è una sfida più difficile, perché devi dare il massimo e non puoi sbagliare niente».
Qual è stato il momento di svolta nella tua carriera?
«All’inizio ero DJ nei locali, poi all’inizio degli anni ’90 ho organizzato la mia prima piccola serata a tema musicale. Nel giro di due anni sono passato da 300 a 7mila persone. Mi producevo da solo gli “acetati”».
Dischi?
«Unici, vinili unici, solo per me. C’erano queste fabbriche, delle stamperie: tu andavi lì e fabbricavi il tuo disco. Non pensavo di pubblicarli. Poi nel ’94 ne ho pubblicato uno e da lì è partito tutto: eventi, produzioni, pubblicazioni. Non era pianificato: è nato tutto per necessità. In realtà io volevo fare il ballerino».
E poi che accadde?
«Un infortunio, non ho potuto più continuare e mi sono avvicinato alla musica».
C’era un DJ che ti ispirava?
«Non un DJ, ma “il” DJ. All’epoca quella figura non era circondata da questa sorta di aura magica che c’è adesso: era solo “quello che metteva i dischi”. Mi affascinava vedere come dirigesse il flusso della serata: spostava il ritmo, il ballo, l’energia. Questa magia mi incantava e ancora oggi, dopo quarant’anni, mi emoziona. Il fatto che tu possa comandare il flusso, non per potere, ma per modulare ritmo e groove, è meraviglioso».
È un po’ come la luna che comanda la marea.
«È una metafora molto adatta. Oltre a ballare ricordo che guardavo tutta la sera la consolle. Mi chiedevo: adesso chissà che brano mette, come risponderà la gente. Anche quando svuoti la pista, stai comunque dirigendo un flusso, magari perché stai sperimentando. È una magia che continuo a vivere con lo stesso incanto».
Ti esibirai al Teatro dei Ruderi di Cirella. Che spettacolo ci aspetta?
«Difficile dirlo, perché vado molto a braccio. L’idea è sempre partire dal groove, aggiungendo effetti visivi che amplificano il momento: luci sincronizzate, colori, scenografie. Disegno con i tecnici possibili quadri scenici, ma magari poi cambio scaletta. Mi piace lasciarmi trasportare dal momento. Sicuramente ci saranno i grandi classici e uno show visivo molto curato. La location poi è bellissima: ho visto delle foto recenti e mi hanno davvero colpito».
Forse del live di Brunori che ha suonato lì qualche giorno fa.
«Grandissimo Brunori!»
Vi conoscete?
«Purtroppo no, ma spero di incontrarlo prima o poi: mi piace come artista, molto, e ho visto alcune interviste: mi sembra una bellissima persona».
Organizzare una combo sarebbe curioso.
«Perché no!».
Intanto, il tuo tour continua?
«Sì, ma tra due giorni mi fermo: ho bloccato le date al 13 per dedicarmi allo studio e a un album a cui lavoro da tempo. Riprenderò a settembre. Chiudo con la Sicilia e poi per un mese mi scollegherò, diciamo così, dal pianeta. Ma tornerò».