venerdì,Marzo 29 2024

“CINQUE LUSTRI” | I dubbi, gli omissis e la politica: quello che l’inchiesta non dice

Dopo aver illustrato ampiamente l’inchiesta “Cinque Lustri” della Dda di Catanzaro, ora analizziamo una parte degli atti che fanno parte dell’indagine della Guardia di Finanza. Davvero il rapporto tra l’imprenditore Giorgio Barbieri e il clan Muto è «paritario» come sostengono gli inquirenti? Le risultanze investigative fanno emergere certamente un rapporto ambiguo, e quindi poco chiaro, tra il gruppo e

“CINQUE LUSTRI” | I dubbi, gli omissis e la politica: quello che l’inchiesta non dice

Dopo aver illustrato ampiamente l’inchiesta “Cinque Lustri” della Dda di Catanzaro, ora analizziamo una parte degli atti che fanno parte dell’indagine della Guardia di Finanza. Davvero il rapporto tra l’imprenditore Giorgio Barbieri e il clan Muto è «paritario» come sostengono gli inquirenti?

Le risultanze investigative fanno emergere certamente un rapporto ambiguo, e quindi poco chiaro, tra il gruppo e la cosca dominante nel Tirreno cosentino soprattutto se consideriamo l’uso della sala slot di Cosenza come una sorta di bancomat da mettere a disposizione della consorteria mafiosa. Non si spiegano in un altro modo le frasi di Massimo Longo che, inconsapevole di essere intercettato e filmato tutto il giorno, fa percepire come i suoi viaggi a Cetraro siano finalizzati a portare somme di denaro ogni inizio del mese. Denaro che poi sarebbe stato “amministrato” dall’ex moglie di Franco Muto. Qui, in effetti, il discorso sembra filare nel verso giusto anche se poi toccherà alla giurisprudenza valutare ogni singola fonte indiziaria.

Il secondo aspetto sul quale possono esserci più dubbi che certezze è sicuramente quello inerente alla intimidazione subita dal gruppo “Barbieri” sul cantiere dell’aeroporto di Scalea. In questo caso lo stato maggiore della famiglia di costruttori cerca di capire chi sia stato a commettere una simile azione criminale e avvia i contatti con i presunti affiliati del clan. Un segmento di questa indagine porta alla luce il fatto che lo stesso Barbieri sarebbe stato pronto anche a denunciare tutto ai carabinieri – come avrebbe voluto fare nei riguardi di Piromallo per la presunta estorsione per i lavori di piazza Bilotti, tenendo fuori dalla querela quelle persone che avrebbero stipulato un “patto” per evitare che l’aziende potesse subire richieste di “pizzo” – ma chiese al direttore dei lavori di temporeggiare in attesa di saperne di più.

Le attività tecniche poste in essere dalla Guardia di Finanza avrebbero cristallizzato la vicenda: l’intimidazione sarebbe stata fatta da Luigi Muto, figlio di Franco. Il dubbio è il seguente: se davvero Barbieri fa parte della cosca – avendo il ruolo di finanziatore – per quale motivo avrebbe dovuto subire un danneggiamento così grave dai presunti esponenti di spicco del clan? Per quale motivo l’imprenditore avrebbe chiesto anche in questo caso l’intervento del boss per chiarire la situazione? Evidenziamo che in questa indagine – rispetto all’operazione “Frontiera” – i profili degli appartamenti al clan sembrano diversi. Se nel luglio scorso Luigi Muto sembrava decidere e controllare ogni cosa, in questo caso i ruoli sembrano essere stati capovolti. Ma l’arco temporale dell’inchiesta è pressoché identico: il Ros di Salerno e la Guardia di Finanza di Cosenza hanno intercettato, filmato e osservato nello stesso periodo.

Terzo e ultimo aspetto che stavolta riguarda la presunta estorsione che gli “italiani” avrebbero voluto perpetrare in danno di Giorgio Barbieri. L’inchiesta mette in luce che l’imprenditore si sia messo d’accordo con i precedenti reggenti del clan “Lanzino”, avendo dalla sua l’intermediazione di Franco Muto, affinché fosse immune dal “pizzo”. Ma anche in questo caso non è assolutamente chiaro se il famoso «accordo» fosse stato siglato sulla base di soldi con percentuali minime alla cosca italiana o se preventivamente Barbieri avesse fermato ogni possibile ritorsione. Gli atti parlano solo di questo presunto patto, ma il contenuto non è dato saperlo. Solo supposizioni.

GLI OMISSIS. Ogni indagine contiene atti coperti dal segreto istruttorio e anche “Cinque Lustri” sembra seguire questa strada. Alcuni degli “omissis” presenti nel decreto di fermo fanno ritenere che l’inchiesta non sia finita qui. Quelli più “importanti” sono a ridosso delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna. Altri sono stati inseriti in fasi investigative che potrebbero interessare altri soggetti. Insomma, il lavoro della Guardia di Finanza e della Dda di Catanzaro forse continua in questa direzione.

POLITICI IN SILENZIO. Non sappiamo se i medici di famiglia abbiano ordinato ai politici cosentini di non rilasciare alcuna dichiarazione ufficiale, ma è abbastanza imbarazzante che la maggior parte di essi siano stati in silenzio. Il sindaco Mario Occhiuto si è salvato in calcio d’angolo, pubblicando ieri sera un commento sul suo profilo Facebook.

Non ci risulta, invece, che Rosy Bindi sia il segretario regionale del Partito democratico in Calabria. Ci risulta, tuttavia, che quest’ultima sia il presidente della commissione antimafia. Come ci risulta che colui che dirige il Pd dal Pollino allo Stretto sia in realtà l’onorevole Ernesto Magorno. E’ sorprendente che l’avvocato di Diamante abbia deciso di non proferire alcun apprezzamento sull’operato della magistratura antimafia. La agenzie nazionali infatti hanno soltanto riportato la sua nota sul terremoto che ha colpito nuovamente il Centro Italia. Era distratto dalla politica nazionale o ha preferito per motivi d’opportunità lasciare agli altri del suo partito il compito di commentare le due operazioni della Guardia di Finanza? Gli altri che hanno assunto posizioni ufficiali sull’argomento sono stati i Cinque Stelle, i deputati di Forza Italia Jole Santelli e Roberto Occhiuto e il senatore ex grillino Francesco Molinari. (Antonio Alizzi)

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