Dall’inchiesta di Cordova alla P2 di Gelli, Di Bernardo racconta la massoneria (calabrese)
E’ il 31 gennaio 2017 quando l’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani Giuliano Di Bernardo viene audito dalla commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata del Pd Rosy Bindi. Una delle ragioni per le quali Di Bernardo lascia la precedente loggia massonica risiede nell’avvio dell’inchiesta sulla massoneria dell’ex procuratore capo di Palmi, Agostino Cordova,
E’ il 31 gennaio 2017 quando l’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani Giuliano Di Bernardo viene audito dalla commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata del Pd Rosy Bindi.
Una delle ragioni per le quali Di Bernardo lascia la precedente loggia massonica risiede nell’avvio dell’inchiesta sulla massoneria dell’ex procuratore capo di Palmi, Agostino Cordova, poi conclusasi in un nulla di fatto. Il filosofo di Trento ha ricoperto l’incarico di Gran Maestro dal 1990 al mese di aprile del 1993, fondando poi la Gran Loggia Regolare d’Italia – che ebbe un importante riconoscimento dalla massoneria inglese – dalla quale si dimetterà nel 2002.
«Nel 1992 il procuratore di Palmi mi fa pervenire la richiesta di avere gli elenchi di tutti i massoni calabresi, motivando questa richiesta con il fatto che in molti reati erano presenti massoni del Grande Oriente d’Italia. Il gran segretario venne da me e mi informò di questa richiesta e io feci allora una semplice riflessione: “Se fornisco gli elenchi, non creo problemi a tutti quei massoni che non hanno nulla da temere dalla legge. Viceversa mi si dà la possibilità attraverso la magistratura di far uscire allo scoperto i massoni che non sono degni di stare nel Grande Oriente”. Partendo da questa premessa io ho dato disposizione al gran segretario di consegnare gli elenchi dei massoni calabresi. Il gran segretario mi chiese: “Tutti gli elenchi?”, perché questo è il punto, e io risposi: “Tutti gli elenchi”. Quindi io spontaneamente nel 1992 ho aderito alla richiesta di consegnare gli elenchi dei massoni calabresi».
La situazione opposta che si è venuta a creare di recente quando il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi ha aspramente criticato l’iniziativa della commissione antimafia di sequestrare gli elenchi delle logge massoniche di Calabria e Sicilia.
Dissequestro avvenuto solo poche settimane fa.
AI TEMPI DI CORDOVA. Il sequestro avvenne nelle modalità che l’ex Gran Maestro del Goi descrive ai presenti: «Cosa fece questo giovane procuratore? Sigillò il computer, vi mise due carabinieri a guardia e mi disse: “Ritornerò con un mandato formale”. Ovviamente in questo modo si voleva evitare che dal momento della richiesta al momento del sequestro si potessero manipolare quegli elenchi. Il giorno dopo è tornato con un mandato formale di sequestro, ha preso il computer e poi ne ha fatto quello che voleva. A questo punto inizia l’inchiesta formale. Si diceva “in generale sulla massoneria italiana”, però specificamente era orientata verso il Grande Oriente. Cominciarono quegli incontri segreti tra me come gran maestro e il procuratore Cordova. Quando lo vidi la prima volta gli feci una domanda precisa: “Mi vuole spiegare per quale motivo lei vuole gli elenchi di tutti i massoni d’Italia?”. La sua risposta fu semplice: “Dalle nostre verifiche è emerso che i massoni della Calabria hanno connessione con massoni del nord Italia e formulò l’intuizione e l’ipotesi che la ’ndrangheta stesse occupando le regioni del nord servendosi anche della massoneria”. Quella che allora era un’intuizione di Cordova a distanza di venti anni è una realtà», aggiunge Di Bernardo.
‘NDRANGHETA E MASSONERIA. Dichiarazione, quella appena riportata, che viene presa al volo da Rosy Bindi, la quale domanda: «È una realtà che la ’ndrangheta è in Lombardia, ma è anche una realtà che la massoneria sia stata uno strumento?» e Di Bernardo risponde: «Questo non è stato verificato. In quell’inchiesta di Cordova, se mi si consente un’espressione, è stato sequestrato praticamente tutto. Ricordo che quel giorno che vennero a fare il sequestro a Villa Medici io avevo un piatto a sbalzo che mi avevano regalato i fratelli calabresi, “I fratelli calabresi al gran maestro”. Chi era lì a fare il sequestro legge «Calabria» e sequestra. Potete immaginare che a quel punto sono state sequestrate tante cose che non servivano allo scopo. Immaginiamo quindi tutte le cose sequestrate come una montagna. Però all’interno di questa montagna vi erano delle informazioni ben precise, molto precise. Ora, il fatto di andare a cercare quelle informazioni significava cercare l’ago nel pagliaio, soprattutto per chi non sapeva cosa cercare. Questi sono i paradossi, presidente. Quell’inchiesta poi si è fermata lì. Quindi c’è stata la possibilità di fare chiarezza. Però quando l’inchiesta è stata avviata e sono stati acquisiti documenti importanti e fondamentali l’inchiesta all’improvviso viene fatta morire».
GUERRA TRA MASSONI. Di Bernardo dice ai parlamentari presenti che l’ex procuratore capo Cordova gli avrebbe dato «prove inconfutabili non solo circa il coinvolgimento di taluni massoni, ma anche su un fenomeno che mi sembrò molto strano. Mi mostrò, infatti, un pacco di fogli protocollo che contenevano accuse di massoni contro altri massoni, cioè di massoni che si servivano della magistratura per far fuori altri massoni. Ne ho lette quattro o cinque di queste cose ed era qualcosa di raccapricciante non osavo credere che massoni che erano nella mia obbedienza, che collaboravano con me si facessero promotori di questa guerra fratricida. È chiaro che qualcosa non andava. Quando ho avuto dal procuratore Cordova queste prove, che per me erano importanti, ho convocato la giunta del Grande Oriente d’Italia e ho presentato la situazione. Al termine di questa riunione, io ho deciso – quello è stato il preciso istante – di dimettermi dal Grande Oriente, perché avevo constatato una realtà che mai avrei immaginato e che da quel momento io mi sarei rifiutato ancora di governare. Una settimana dopo ero a Londra».
IL MASSONE DI COSENZA. Ettore Loizzo, scomparso alcuni anni fa, viene citato da Giuliano Di Bernardo. Ed è questo uno dei passaggi più importanti che coincide con quello della Dda di Reggio Calabria che nell’ambito dell’inchiesta “Mammasantissima” aveva acquisito le dichiarazioni dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. «A quel tempo era mio gran maestro aggiunto. Il gran maestro aveva due gran maestri aggiunti, uno era Ettore Loizzo e l’altro era Eraldo Ghinoi. Ettore Loizzo, una persona corretta e onesta, che teneva veramente alla massoneria, era il numero uno della massoneria calabrese anche per la sua attività. Per tutto ciò che aveva fatto in massoneria e io ne avevo grande stima. In quella riunione di giunta, Ettore Loizzo non era solo, c’erano anche gli altri vertici calabresi. Io li avevo convocati perché volevo sapere se le accuse di Agostino Cordova corrispondessero a realtà oppure no, quello per me era fondamentale. Al termine di questa riunione Ettore Loizzo, con l’assenso degli altri calabresi, confermò questi miei dubbi».
La frase riportata dalla Bindi è quella in cui si afferma «con certezza che in Calabria su 32 logge 28 erano controllate dalla ’ndrangheta e che non poteva fare nulla, perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie». Ma il verbale della famosa riunione durante la quale Di Bernardo annunciò di andare via non fu fatto. «si decise di non farlo. È normale. C’è un fatto importante, che almeno riguarda la mia vita come conseguenza di questa mia decisione: come dicevo, dopo una settimana ero a Londra per parlare con i vertici inglesi, si decise in quella circostanza che mi sarei dimesso dal Grande Oriente e avrei fondato una nuova obbedienza massonica, che sarebbe stata subito riconosciuta dall’Inghilterra dopo aver tolto il riconoscimento al Grande Oriente d’Italia. Questo era stato deciso e questo si è realizzato in sei mesi».
DI BERNARDO MINACCIATO. Il suo addio al Grande Oriente d’Italia provocò un terremoto all’interno della loggia massonica. Lo riferisce lo stesso Di Bernardo. «Non mi seguì nessuno, neanche Ettore Loizzo» perché «si trovava in una situazione molto difficile. L’ho compreso perché seguire me significava fare quello che sono stato costretto a fare: una guerra totale al Grande Oriente d’Italia, non perché io volessi attaccare, ma perché dovevo difendermi. Le spiego cosa voglio dire. Io scrissi una lettera alla comunione, in cui spiegavo queste ragioni. Quella lettera non è mai stata spedita, per cui tutti i fratelli all’obbedienza non hanno mai saputo le ragioni per cui io sono andato via, tranne quelle che leggevano sui giornali. Questa è stata una mossa tattica importante, perché non conoscendo le ragioni, su di me è stato detto tutto e il contrario di tutto. Sono stato praticamente crocefisso, i miei ritratti sono stati bruciati nel tempio per simulare il traditore che va al rogo, ho ricevuto minacce contro me e la mia famiglia inimmaginabili. Ma io sono andato avanti».
Tra le persone che avrebbe comunicato all’ex Gran Maestro che rischiava per la sua vita ci fu l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, «che aveva allertato più volte il prefetto e il questore di Trento perché in molti elenchi di persone da colpire che allora circolavano c’era anche il mio nome. Non ho quindi potuto far capire ai fratelli le ragioni per cui sono andato via. Le manderò questa mia «Lettera alla comunione», ha chiarito Di Bernardo.
LA REAZIONE. Rosy Bindi, ritornando sulle 28 logge su 32 che sarebbero state controllate dalla mafia calabrese, incalza ancora Di Bernardo. «Io gli ho chiesto: “Ma come avete potuto?”, ha risposto: “Noi non abbiamo potuto farci nulla, abbiamo dovuto subire questa situazione”. Quando ho chiesto: “Adesso cosa pensate di fare?”, ha risposto: “Nulla”. Dopo il suo “nulla” ci fu la mia decisione di dimettermi. Vi dico quindi, con tutta coscienza, che ancora oggi, dopo 23 anni, sono considerato il traditore e nei miei confronti vi è un odio che neanche si può immaginare, un odio che dura ancora dopo venti anni. Ma perché? Se io fossi andato via creando un’altra massoneria, non avrebbe destato alcuna preoccupazione. Ma io sono andato via con la volontà di avere il riconoscimento della massoneria inglese, perché, se non si ha il riconoscimento della massoneria inglese, si è fuori dalla massoneria mondiale che conta. Quindi, l’odio scaturisce proprio da questo: con la mia azione ho fatto sì che perdessero il riconoscimento inglese. Ecco l’odio, che ancora oggi è forte e vivo».
AGENTI DELLA CIA NELLA MASSONERIA. Un’altra dichiarazione forte di Di Bernardo riguarda il periodo in cui ricopriva il ruolo di Gran Maestro, dove «ho abbattuto una sola loggia, la «Colosseum» di Roma, la loggia che era stata costituita subito dopo la liberazione dell’Italia, la cosiddetta liberazione dell’Italia, e dove affluivano gli agenti della CIA. Era una loggia ad hoc e quando sono diventato gran maestro ho detto che non avrei potuto tollerare all’interno del Grande Oriente una loggia nata per queste ragioni e che continuava a muoversi per queste ragioni. Ho trovato il motivo formale che non avevano pagato le capitazioni e ho chiuso la loggia».
LA LOGGIA P2. Di Bernardo poi affronta i rapporti avuti con Licio Gelli e chiarisce un concetto, per lui fondamentale: «La P2 era una loggia del Grande Oriente d’Italia». E ritiene che in realtà gli iscritti non fossero 800-900 ma oltre 3mila. «dopo la mia elezione, chiese di potermi incontrare il segretario personale del gran maestro Battelli. Mi disse: «Io ho il dovere di informare il mio gran maestro di quello che so». Cosa sapeva? Una sera Gelli si è presentato da Battelli, che era il gran maestro, portandogli un librone con tutti gli iscritti. Battelli apre e comincia a leggere. Mi dice lui: “L’ho visto diventare paonazzo. Ha chiuso tutto e gli ha detto “Io questo non l’ho mai visto”. Battelli poi disse al suo segretario personale: “È qualcosa di assolutamente grave e pericoloso per l’Italia quello che ho visto”. Questa è una dichiarazione che mi ha fatto una persona che dice di aver assistito a tutto questo. Io la pongo a voi con il valore che può avere».
DICHIARAZIONE SEGRETATA. Rosy Bindi a questo punto chiede. «Chi era? Se vuole, segretiamo», ma Di Bernardo precisa. «Vorrei segretare per un’altra cosa che sto per dire». E si conclude così l’audizione pubblica dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. (Antonio Alizzi)