Omicidio Galizia, Attanasio non credibile sul movente. Tutte le domande del giudice
E’ alquanto inusuale leggere delle motivazioni di una condanna nelle quali il giudice, oltre a definire il profilo criminale dell’imputato, si pone delle domande sulla vera ricostruzione dei fatti e soprattutto sul reale movente del delitto. E’ il caso dell’omicidio di Damiano Galizia, ucciso il 26 aprile del 2016 ad Arcavacata da Francesco Attanasio, assassino
E’ alquanto inusuale leggere delle motivazioni di una condanna nelle quali il giudice, oltre a definire il profilo criminale dell’imputato, si pone delle domande sulla vera ricostruzione dei fatti e soprattutto sul reale movente del delitto.
E’ il caso dell’omicidio di Damiano Galizia, ucciso il 26 aprile del 2016 ad Arcavacata da Francesco Attanasio, assassino reo confesso e condannato all’ergastolo. Ma dietro questo delitto, probabilmente, c’è una storia che lo stesso uomo che sparò contro il ragazzo di San Lorenzo del Vallo non ha totalmente raccontato agli inquirenti. E si intreccia con un altro avvenimento, conseguenza finale della strage di San Lorenzo del Vallo, dove Luigi Galizia, fratello di Damiano, avrebbe ucciso la mamma e la sorella di Attanasio.
L’avvenimento di cui accennavamo prima è il ritrovamento delle armi in un box situato all’interno di un residence a Quattromiglia, quartiere di Rende. Tutto nasce da questo episodio a dire di Attanasio, ma ci sono troppe incongruenze nel suo racconto che hanno portato il gup del tribunale di Cosenza, Giuseppe Greco a non concedere le attenuanti generiche all’imputato.
Chi ha giudicato, evidentemente, non ha creduto neanche per un istante a chi in un primo momento ha fatto vedere di voler collaborare con la Squadra Mobile di Cosenza, ma andando avanti nei ragionamenti e nelle dinamiche dell’azione omicidiaria non è riuscito a convincere il giudicante. Forse in questo caso chi doveva indagare si è “accontentato” delle verità parziali di Attanasio che prima alla procura di Cosenza e poi alla procura di Castrovillari ha fornito dichiarazioni che, lette in profondità, non collimano affatto. Non collimano in particolar modo sui rapporti tra la vittima e l’imputato, sugli interessi che i due ragazzi potevano avere in comune e su quanto avvenuto negli anni passati.
Così il gup Greco, dopo aver riportato le fasi del processo con le testimonianze degli agenti della Squadra Mobile di Cosenza, che hanno spiegato i tempi e i modi con i quali sono venuti a conoscenza della “soffiata” di Attanasio sul box “pericoloso” nel residente “Il Girasole” e dell’avvenuta consumazione del delitto, si è focalizzato sull’atteggiamento non particolarmente collaborante dell’imputato rispetto a quanto detto agli investigatori.
Non avendo alcun dubbio che il responsabile dell’omicidio sia proprio Francesco Attanasio, il gup scrive che «vanno rimarcate talune indiscutibili oscurità che connotano la narrazione confessoria dell’imputato» che dichiarò: «“Avevo portato con me la pistola per intimorire Galizia ben conoscendo quale sarebbe stata la sua reazione alla mia progettazione di un’ulteriore proroga della restituzione del prestito”» di circa 17mila euro. «“La mia intenzione non era assolutamente quella di uccidere – disse Attanasio – ma solamente quella di difendermi contro quella che sarebbe stata un’aggressione violenta da parte di Damiano Galizia”».
Il gup non crede a questa versione e sottolinea come «appare francamente poco comprensibile la ragione per cui Francesco Attanasio – il quale aveva previsto la reazione violenta di Galizia allorché gli avrebbe evidenziato la sua impossibilità di restituire il capitale concesso in mutuo – abbia affrontato la questione spinosa proprio nel momento in cui egli si trovava in compagnia di Galizia in un luogo appartato». E ancora «D’altra pare se Attanasio nutriva effettivamente soltanto l’intenzione di intimorire il suo creditore perché ha esploso ben quattro colpi di arma da fuoco da distanza ravvicinata puntando l’arma verso zone sicuramente vitali?».
La non credibilità di Attanasio inoltre viene acclarata quando il gup evidenzia che non è vero che l’imputato aveva avuto mandato dal titolare dell’appartamento in cui si è consumato il delitto di affittare lo stabile, ma soltanto «di passarci di tanto in tanto e controllare se c’era della posta», come dichiarò lo stesso proprietario.
Il giudice prosegue: «Ad ogni evidenza, l’imputato non ha, dunque, esplicitato il vero – o quanto meno plausibile – motivo per il quale si è recato in compagnia di Galizia nella casa di contrada Dattoli. Attanasio ha cercato di accreditare l tesi secondo la quale egli versava in una situazione di soggezione se non di vero e proprio metus nei confronti della vittima («“i nostri rapporti erano di frequentazione sporadica, anche se ultimamente io mi sentivo intimorito, spaventato da un’amicizia che percepivo ispirata da motivi di interesse”»).
A dire il vero in un verbale reso davanti al procuratore capo Eugenio Facciolla e al sostituto procuratore Giuliana Rana, Attanasio disse che in viaggio di nozze si portò anche Galizia con la sua compagna, visto che si conoscevano da tanto tempo e soprattutto per calmare le acque con lo stesso dopo alcuni momenti di tensione riconducibili a questioni economiche.
Ritornando alla soggezione di Attanasio nei confronti di Galizia, il giudice si chiede: «Ma se ciò non fosse vero come spiegare il fatto che durante il periodo in cui è rimasto da solo in compagnia della vittima, Attanasio ha disattivato il proprio telefono cellulare?». Un incontro che la polizia di Cosenza, come disse l’ispettore Sole in aula, ne era a conoscenza: «I colleghi, che si trovavano già davanti al magazzino (luogo in cui fu ritrovato l’arsenale di armi, ndr), e che erano in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco per aprire le porte, sanno che Attanasio deve incontrare Galizia. E provano a chiamarlo in tutti i modi. Il telefono risulta sempre irraggiungibile e questo ci verrà confermato dallo stesso Attanasio, l’uno maggio a sera, l’ha detto che aveva messo il telefono in modalità aereo, proprio per non essere raggiunto mentre era assieme a Galizia».
Il giudice rincara la dose: «L’imputato affronta Galizia armato, in un luogo isolato e con il cellulare disattivato e ciò dopo aver informato la polizia che stava per incontrarsi con lui. Quale il fine di tutte queste precauzioni?». Non solo il delitto ma anche le armi custodite nel box di Quattromiglia, a livello di ricostruzione, non convincono il giudice che in un altro paragrafo mette in evidenza che «Attanasio non ha in alcun modo provato l’effettiva disponibilità del garage sia stata esclusivamente n capo a Galizia Damiano né che questi anni mai effettuato il pagamento del canone di locazione».
Va giù pesante il gup Greco quando scrive che «ove Galizia non fosse stato ucciso l’imputato avrebbe incontrato non poche difficoltà a ribaltare su terzi la responsabilità per l’illecita detenzione delle armi e munizioni rinvenute nel locale di cui egli aveva, senza alcun dubbio, acquisito la diretta disponibilità».
Il giudice infine ritiene che la causale dell’omicidio sia proprio nel rinvenimento delle armi. Insomma, un delitto non giustificabile con l’atteggiamento aggressivo di Galizia nei confronti di Attanasio ma da ricercare, evidentemente, altrove. (Antonio Alizzi)