Lo scorso primo luglio, mentre l’Italia si riprendeva dalla prima ondata dei contagi, la Digos di Cosenza si recava nel comune di Luzzi per perquisire la casa di Domenico Giorno, 42enne, accusato di propaganda terroristica. Il suo profilo era già emerso in un’attività d’indagine internazionale, individuando alcuni canali Telegram, da dove i “lupi solitari” acquisivano informazioni di matrice jihadista. Dopo aver sequestrato un corposo materiale informatico e documentale, gli investigatori piazzano una cimice all’interno della casa per captare elementi investigativi preziosi al fine di corroborare quanto evidenziato nella prima parte dell’inchiesta. (LA PRIMA PARTE DELL’INCHIESTA)

Le intercettazioni

Il gip Logozzo scrive che «le captazioni condotte presso la sua abitazione» avrebbero consentito «di intercettare momenti di preghiera da parte sua, sintomatici della conversione alla religione islamica ed, effettivamente, la stessa madre dell’indagato, discutendo con il marito, definiva il figlio musulmano, specificando che “guarda sempre queste cose in arabo… o quelli che gridano nella moschea… o guarda un film… mo sono anni che sente la televisione… lui ormai è musulmano a tutti gli effetti». 

In un’altra conversazione tra i genitori dell’indagato, gli investigatori ascoltano un’altra espressione sintomatica, a loro dire, della sua presunta propaganda terroristica. «Adesso a casa mia non si sente dire altro che Allah Akhbar… sono anni che si sente». Il gip, quindi, sottolinea che «significa letteralmente “Dio è ill più grande”, pur assumendo in apparenza un tenore meramente religioso, è solita essere pronunciata prima dell’esecuzione di molti attentati terroristici, assumendo così una valenza polisemica». Il giudice, tuttavia, ritiene che «quello di Giorno non era una mera conversione all’Islam ma una vera e propria radicalizzazione sconfinante nell’illecito penale, dovendosi qualificare la sua condotta ai sensi dell’art. 270-quinques c. p.».

Le preoccupazioni dei genitori

Infine, «nel corso delle indagini, emergeva poi l’adozione di certe cautele da parte di Giorno che impedivano alla p. g. di inoculare un trojan virus sui dispositivi a lui in uso. Del pari, falliva il tentativo posto in essere dagli inquirenti di intraprendere con lui contatti sul web tramite un undercover». Per questi motivi, Domenico Giorno – i cui genitori affermano che «di questo non ti puoi nemmeno fidare… non ti puoi nemmeno fidare di quello che gli passa per la testa… io ho avuto sempre paura Ci… ma non da ora… ma non da ora – è finito in carcere.