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Corigliano-Rossano, dal nome mai fuso alla minaccia degli scissionisti: tutti i passi di un’unione faticosa

Nata ufficialmente il 31 marzo 2018, in seguito a un referendum consultivo a cui parteciparono poco più di 20mila abitanti in totale, la terza città della Calabria ha davanti a sé un cammino pieno di insidie e vuoti da colmare: a cominciare dallo statuto non ancora approvato

Corigliano-Rossano, dal nome mai fuso alla minaccia degli scissionisti: tutti i passi di un’unione faticosa

«Un fatto storico per la Calabria». Si espresse così, il 31 gennaio 2018, l’allora presidente della Giunta regionale Mario Oliverio, appena dopo gli applausi che nell’aula di Palazzo Campanella sancirono l’approvazione della proposta di legge d’iniziativa del consigliere Giuseppe Graziano, esponente (allora) dell’Udc oltre che del territorio. Pubblicata sul Burc n. 13, divenne la legge regionale n. 2 del 2 febbraio 2018, “Istituzione del Comune di Corigliano-Rossano derivante dalla fusione dei Comuni di Corigliano Calabro e di Rossano”, che decretò la nascita ufficiale della città unica a decorrere dal 31 marzo di quello stesso anno.

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Il referendum consultivo

«Con l’approvazione di questa importante proposta di legge il Consiglio regionale oggi assume un atto che è in perfetta sintonia con la volontà della popolazione», disse ancora Oliverio in quelle ultime ore di gennaio. La volontà della popolazione era quella venuta fuori dal referendum consultivo che si era tenuto il 22 ottobre 2017: l’affluenza non superò, in entrambi i comuni, il 50% degli aventi diritto al voto (44,70% a Corigliano, 32,89% a Rossano) ma la maggioranza di coloro che si recarono alle urne rispose sì al quesito che così recitava: «Volete l’istituzione di un nuovo Comune, denominato Corigliano-Rossano, mediante fusione degli attuali Comuni di Corigliano Calabro e Rossano?». Il referendum passò con il 61,36% dei votanti (7.674) a Corigliano e il 94,14% (12.715) a Rossano: un totale di 20.389 persone che decise di richiudere in un cassetto lo storico “lenzuolo” facendo saltare confini e codici postali.

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Un fatto storico senza dubbio, che diede forma a una discussione che si trascinava da anni e spostò nella Sibaritide la terza città della Calabria per numero di abitanti: circa 75mila. Un fatto che però, se da un lato concludeva una fase, dall’altro ne apriva una nuova ancora più impegnativa: «una sfida inedita», fu definita in quell’aula di Palazzo Campanella, che avrebbe visto protagonisti istituzioni locali e cittadini. Richiamando una ben più importante unione, potremmo dire che fatta Corigliano-Rossano bisognava fare i coriglian-rossanesi.  

Alla ricerca di un’identità comune

Ma è qui che il cammino sembra farsi più lungo e impervio di quello che ha portato fino a questo punto. Perché se sono innegabili la crescita di peso politico e le opportunità economiche che la fusione tra i due centri ha aperto, grazie a un numero di abitanti che ha già consentito di accedere a fondi altrimenti preclusi, non così pacifico è il risultato in termini di identità culturale. Non solo c’è ancora chi reclama con forza il suo essere coriglianese o rossanese (alzando barricate se questo o quell’evento hanno come location l’area urbana al di qua o al di là dei vecchi confini comunali), ma a distanza di appena cinque anni dalla nascita della città unica c’è chi già vorrebbe tornare indietro e celebrare un divorzio con conseguente separazione di beni e abitanti. Basta convivenza, insomma, e ognuno a casa sua.

Il nome, tra l’altro, mai creato ex novo per la città unica ma tramite apposizione di un semplice trattino tra i due già esistenti, sembra fatto apposta per eventuali ripensamenti (ma, cogliamo l’occasione per un’innocente polemica, non per i titoli giornalistici): basta levare il trattino e il gioco è fatto. Nessuno sforzo creativo come fu, per esempio, per Lamezia Terme o più recentemente per Casali del Manco: e sì che in quel caso i centri da unire erano in numero superiore a due e un nome creato dal semplice affiancamento dei precedenti sarebbe stato impossibile anche da pronunciare tutto d’un fiato, ma questa non è una buona scusa. Probabilmente si è trattato solo di mancanza di fantasia, ma il risultato non cambia: Corigliano e Rossano sono ancora lì, sono sempre state lì, e ognuna può riprendere la propria vita da dove l’aveva lasciata prima della fusione, facendo finta che nulla sia successo.

Venti di scissione

Un’eventualità, questa, che ha animato i sogni di un gruppo di cittadini secondo i quali “questo matrimonio non s’aveva da fare” e che dopo anni di no ribaditi in tutte le sedi (fisiche e social) si sono riuniti nel Cra, Comitato per il ritorno all’autonomia, che tra novembre e dicembre scorsi aveva avviato una raccolta firme per tornare alle urne con un nuovo referendum che avrebbe dovuto, negli auspici dei promotori, ribaltare quello del 2017. Solo che, almeno per il momento, non si potrà ribaltare alcunché.

A frenare infatti gli entusiasmi degli scissionisti è arrivata, puntuale come il più indesiderato degli ospiti, la legge regionale n. 52 del 23 dicembre 2022. Che all’articolo 8 cambia le carte in tavola aggiungendo un punto 3 al comma 1 dell’articolo 2 della legge regionale n.13 del 5 aprile 1983, escludendo così dall’iniziativa popolare le leggi «relative ai procedimenti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e delle leggi regionali di attuazione, entro i 15 anni dall’entrata in vigore della relativa legge regionale istitutiva». In parole povere (ed epurate di troppi numeri), niente nuovo referendum consultivo prima del 2033.

Aspettando lo statuto

Frenata, quindi, l’avanzata delle truppe scissioniste, resta una città unica ancora da fare. A cominciare dallo statuto, che secondo l’articolo 6 della legge istitutiva «gli organi del Comune di Corigliano-Rossano» avrebbero dovuto approvare «entro sei mesi dalla loro elezione». Ma, a elezione avvenuta nel 2019, lo statuto non c’è ancora: approdato in Consiglio comunale pochi giorni fa, ha ottenuto la maggioranza ma non quella necessaria dei 2/3 dei consiglieri, rimanendo così ancora fermo al palo. Per poco, però. La discussione, ormai avviata, è destinata ad arrivare a conclusione. E almeno in questo caso, sembra, non bisognerà aspettare fino al 2033.

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