venerdì,Dicembre 13 2024

San Giovanni in Fiore, ed ecco la Città di Gioacchino…

Qui c’è una storia legata alla terra, all’ artigianato, alle tradizioni, agli ordini religiosi: nel 900 l’ordine dei Frati Minori Cappuccini con una grande comunità ospitate nel convento locale, ha "esportato" frati in tutta la provincia di Cosenza e in Calabria

San Giovanni in Fiore, ed ecco la Città di Gioacchino…

Storicamente (soprattutto nel Medioevo) l’assegnazione del titolo di Città comportava privilegi o comunque un diverso ordinamento legale-amministrativo. Questo un tempo. «Il titolo di città può essere concesso con Decreto del presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno ai comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per l’attuale importanza». Il comune richiede la concessione del titolo con un’istanza al Ministero dell’interno.

Ha fatto bene il sindaco Succurro e il consiglio comunale di San Giovanni in Fiore a chiedere al ministro degli interni e poi al presidente della Repubblica la concessione del titolo di città a San Giovanni in Fiore, cosa concessa proprio in queste ore.

San Giovanni in Fiore già da tempo si fregiava del titolo di capitale della Sila, per il ruolo importante che ha sempre svolto nella montagna silana e per avere un territorio che occupa la metà della Sila Grande e si estende fino al confine con la Sila piccola catanzarese. Per molti nei fatti era già considerata una città. Ma oggi il titolo è ufficiale e riempie di orgoglio i cittadini. Una cosa giusta e opportuna considerata la storia, la cultura, le tradizioni di questo grande centro di montagna, uno dei più grandi d’Italia a quelle altitudini.

La storia di San Giovanni in Fiore è ricca di eventi, molti dei quali hanno segnato epoche importanti. Tutto comincia con l’Abate di Gioacchino da Fiore che sceglie questo sperduto e inaccessibile territorio di alta montagna dove l’inverno durava 8 mesi e la presenza umana era minima. Ma Gioacchino nel XII secolo arriva qui, nella località Jure Vetere, per costruire una chiesa e fondare un ordine monastico, staccandosi così dal suo ordine di appartenenza: i Cistercensi.

Gioacchino voleva di più, voleva pace e silenzio per i suoi studi, cercava un angolo di paradiso per avviare la sua grande avventura nella storia. Essere un grande filosofo, profeta, studioso, gli consentiva di godere di un prestigio e di una fama internazionali. Tanto che venne nel tempo considerato “un maestro della civiltà europea”. La sua è una storia complessa, anche per i rapporti non è eccelsi con il Vaticano, a causa soprattutto del tumultuoso rapporto con il suo ordine di provenienza, quello dei Cistercense. Era un rivoluzionario che voleva riportare la chiesa alle origini, influenzando per secoli la storia religiosa italiana, tanto che Dante lo cita nella Divina Commedia in modo particolare, come non fece con altri del suo Paradiso. Ma “tracce” di Gioacchino da Fiore le troviamo nella storia degli ordini mendicanti del Medioevo, in San Domenico e in San Francesco d’Assisi, nell’arte e nella cultura del Rinascimento, perfino in Cristoforo Colombo e Michelangelo, fino ai grandi pensatori del settecento e dell’ottocento. Ovunque c’è una traccia del rivoluzionario abate florense.

La storia di San Giovanni in Fiore è anche una storia di povertà, di profondo isolamento, di grandi emigrazioni: basti pensare che una seconda San Giovanni in Fiore si trova all’estero, con migliaia di emigrati che agli inizi del ‘900 e fino ad una nuova ondata negli anni ‘50 e ‘60 andarono via, costretti dalla povertà imperante.

San Giovanni in Fiore è una città anomala: il boom edilizio degli anni ‘70 e ‘80, grazie alle rimesse miliardarie degli emigrati, ha permesso di costruire una nuova città più a nord, che consentirebbe di ospitare fino 60.000 abitanti!  Una colata di cemento impressionante, fatta per lo più di abusivismo di necessità e grande speculazione. Senza regole, in piena anarchia, senza strumenti urbanistici, anche a causa della miope conduzione politica che per tanti anni ha consentito questo scempio. Sì, San Giovanni in Fiore ha meritato questo riconoscimento, nonostante un passato fatto da periodi bui, una condizione geografica difficile e complessa, classi dirigenti spesso inadeguate ai gravi problemi della città.

Ma San Giovanni in Fiore questo titolo lo merita così come lo hanno meritato in provincia di Cosenza: Paola, Cassano, Rogliano, Bisignano, Acri, Montalto, Rossano e un centinaio di altri comuni calabresi e centinaia di comuni italiani. La città di Gioacchino da Fiore ha significato tanto nella storia della Calabria, nella storia politica come nella storia sociale e culturale. Centro di arte, di cultura, di fede: qui ha sede il Centro internazionale di studi gioachimiti che da quarant’anni lavora sodo per portare il nome di Gioacchino, un tempo finito nell’oblio, alla ribalta della cultura internazionale. 

Di fondamentale importanza è l’Abbazia Florense, un monumento di arte e di cultura. Scrigno ed emblema di una tradizione spirituale e culturale la cui nascita è legata alla straordinaria figura dell’Abate Gioacchino da Fiore, che lasciò uno degli edifici di culto più belli, più grandi e più apprezzati della Calabria.

Qui c’è una storia legata alla terra, all’ artigianato, alle tradizioni, agli ordini religiosi: nel 900 l’ordine dei Frati Minori Cappuccini con una grande comunità ospitate nel convento locale, ha “esportato” frati in tutta la provincia di Cosenza e in Calabria. Qui c’è una storia di antifascismo, di una forte sinistra che ha caratterizzato buona parte della vita politica del secolo scorso, così come qui hanno operato personalità straordinarie come Don Luigi Nicoletti e che fu con Don Luigi Sturzo tra i fondatori del partito popolare degli inizi del novecento e poi segretario provinciale della democrazia cristiana del dopo guerra. 

Ci vorrebbero ore per raccontare le lotte dei contadini, le proteste dei giovani studenti nel ‘68 e poi negli anni ‘70. Ore e ore per raccontare la grande storia della città dell’abate, che meriterebbe molto di più, soprattutto dal punto di vista economico e sociale. Ma un’inversione di tendenza si nota nelle nuove generazioni, che rifiutando di partire stanno mettendo in piedi una serie di attività produttive, che stanno occupato occupando quote importanti di mercato. Così come sta brillando l’altopiano della Sila, con nuovi modelli di sviluppo, innovativi, turistici, finalmente al passo con i tempi. Forse saranno i giovani, questi ragazzi che hanno coraggiosamente deciso di rimanere, a dare un futuro ad una città complessa, ma di grande valore. Ma strada da fare è ancora tanta.

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