I resort della Piana di Sibari nel mirino della ‘ndrangheta cassanese
I fatti, avvenuti tra il 2018 e il 2019, avevano allarmato le forze dell'ordine ma non erano riusciti a scalfire il titolare della grande struttura ricettiva deciso a non piegarsi alle richieste estorsive
I bellissimi e confortevoli resort della Piana di Sibari erano finiti nel mirino della ‘ndrangheta di Cassano Ionio. Le circostanze trattate dal gip distrettuale di Catanzaro sono contenute nella richiesta di misura cautelare avanzata dalla Dda di Catanzaro, nell’ambito della vasta indagine contro la criminalità organizzata cassanese. Parliamo, com’è noto, della presenza dominante nel territorio della Sibaritide sia di alcuni esponenti della famiglia Abbruzzese che di quelli dei Forastefano. L’incendio ai danni di una delle strutture presenti a Sibari si registra il 29 dicembre 2018, quando intorno ale 8, i carabinieri dell’allora Tenenza dei carabinieri di Cassano Ionio vengono informati del rogo che aveva interessato alcuni locali della struttura ricettiva.
Falbo cercava “compagnia”
Sebbene le prime attività investigative non avevano dato esito, le forze dell’ordine si erano concentrate sulla posizione di Maurizio Falbo, il quale avrebbe avuto problemi di natura lavorativa con il titolare del resort. La Dda di Catanzaro, ritenendolo vicino al clan degli “zingari” di Cassano Ionio, aveva avviato le intercettazioni, beccandone una nel corso del quale l’indagato riferiva a un stretto congiunto che «ora mi fanno accendere il focolare» davanti alla grande struttura ricettiva. Sempre Falbo, parlando con Nicola Abbruzzese, alias “Semiasse”, facendo intendere di volerci andare in prima persona nei pressi dell’area da colpire. Avendo difficoltà a reperire un soggetto disposto ad accompagnarlo nei dintorni, sempre Falbo in un’intercettazione chiedeva a Nicola Abbruzzese di trovarne uno in quanto, «l’ho già preparato Nicò, ci vuole uno che mi accompagna».
Il soggetto “prescelto”
Colui il quale fu scelto per compiere l’azione delittuosa in concorso era Amjad Iqbal, detto “Mustafà”, al quale Falbo raccomandava di andare a prendere i “passamontagna“. Portato a termine l’atto intimidatorio, Maurizio Falbo, sulla scorta delle captazioni volute dalla Dda di Catanzaro, si sarebbe premunito di capire se l’incendio avesse causato ingenti danni alla struttura, chiamando alcuni amici che lavoravano per la società che gestiva il resort.
L’eliminazione del “sindaco” Leonardo Portoraro
Per i magistrati antimafia, l’attività investigativa potrebbe spiegare tante cose e ciò si evince dal fatto che lo stesso Maurizio Falbo, parlando con un amico, faceva riferimento, a dire della Dda di Catanzaro, a quanto avvenuto sette mesi prima a Villapiana, con la morte dello storico boss Leonardo Portoraro, trucidato davanti a un bar. Nel corso di questa conversazione, l’indagato evidenziava come «l’amministrazione» è cambiata, da «quando hanno eliminato il “sindaco“. L’interlocutore, non avvezzo a frasi evidentemente criptiche, non avrebbe inteso cosa significasse dire «eliminare il sindaco» e Falbo avrebbe a quel punto fatto capire che si trattava di una metafora.
Rifiutate le richieste estorsive
C’è anche da dire che il titolare e il gestore dei resort non si sono mai piegati alle richieste estorsive, alzando un muro anche nei successivi atti intimidatori. Falbo si rammaricava quindi del fatto che i due erano «incapaci di capire che le persone alle quali cercavano evidentemente di opporsi li avrebbero fatti “saltare tutti quanti”, ben evidenziando quale fosse la loro effettiva natura, “tu ti metti contro la mafia?“». Qualche settimana più tardi, ovvero all’inizio del 2019, viene incendiata la lavanderia del resort, tre giorni dopo dell’intimidazione subita da uno dei gestori della struttura ricettiva.
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