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Le tre del pomeriggio. Francesca, Mimma e Assunta, ignare dei settant’anni e passa che si portano sulle spalle, sfidano il caldo torrido che opprime la città e piega le gambe. I carrellini della spesa di tela colorata – sorretti da due ruote di plastica che sembrano conoscere il percorso a memoria – le seguono di un passo. Anche oggi, come d’abitudine, si sono date appuntamento in uno degli anonimi cortili nati per regalare un soffio di vita a palazzi di edilizia popolare destinati altrimenti a togliersi l’aria l’uno con l’altro. Benvenuti a via Popilia, dove l’inutile attesa di un riscatto mai arrivato indietreggia davanti a cumuli di spazzatura che appaiono eterni, come il volto immutato di questo quartiere. Quando la meta è ormai vicina, Francesca, Mimma e Assunta rinnovano il loro atto di fede a San Francesco, mentre i carrellini della spesa – presto ricolmi dei prodotti del Banco alimentare – si fanno largo tra le automobili parcheggiate davanti alla piccola chiesa che al santo paolano deve il suo nome.

L’orgoglio di avere due figli arruolati nell’arma dei carabinieri non impedisce ad Anna Caruso, responsabile della Caritas parrocchiale, di tendere la propria mano anche quando a chiedere aiuto è la moglie di un detenuto che non sa come sfamare i propri figli. «In un battito di ciglia, le quaranta famiglie che assistevamo sono diventate centotrenta». Farmaci e indumenti trovano posto accanto a generi alimentari di prima necessità e, se le offerte dei fedeli sono generose, capita pure di pagare qualche bolletta della luce. «Tornare a casa la sera dopo avere aiutato persone in difficoltà, mi regala un senso di leggerezza difficile da spiegare», confida la signora Anna mentre pasta, riso e biscotti riempiono la grande busta di plastica che un anziano signore stringe tra le mani. Lui è arrivato da un paesino dell’hinterland cosentino dove la Caritas non è presente. «Non chiedetemi come mi chiamo, perché preferisco non dirlo. In casa siamo io, mia moglie e una figlia di 45 anni che non lavora. Sono qui per aggiungere qualcosa a quel po’ che riesco a comprare con la pensione minima che percepisco».
Filomena Gervasi è la più giovane del gruppo di undici volontari che prestano servizio nella Caritas di via Popilia. Raccogliere le firme e verificare che i certificati Isee degli assistiti non superino la soglia prevista dei seimila euro sono i suoi compiti principali: mandare qualcuno indietro a mani vuote equivale per lei a una sconfitta personale. Antonella Mazza presidia l’ingresso del salone nel quale avviene la distribuzione: «Ho iniziato a fare la volontaria durante la pandemia, quando tutti avevano paura». Il conto delle persone che le hanno mostrato la lettera di licenziamento per avere in cambio qualcosa da mettere in tavola ormai l’ha perso da un pezzo: «Queste persone in realtà hanno bisogno di soldi e di lavoro e noi come parrocchia possiamo offrire ben poco».

Rosetta ha 59 anni e abita all’ultimo lotto di via Popilia: «Vivo con mia sorella e mio fratello che sono disoccupati. Andavamo avanti grazie alla mia pensione di invalidità di 270 euro e a quella di mia madre che è morta due mesi fa. Adesso il Comune ci ha dato la Carta acquisti, ma si tratta di ottanta euro ogni due mesi. Il sostegno del Banco alimentare è fondamentale. Se mi vergogno di venire qui? Assolutamente no, la vergogna è soltanto di chi ruba».
Silvia era impiegata in un’impresa di pulizia. Poi i dolori alla schiena non le hanno dato più tregua, costringendola a smettere di lavorare. Suo marito – che prima si arrangiava con qualche lavoretto saltuario – è disoccupato come lei: «Per fortuna riceviamo il reddito di cittadinanza e nostra figlia, che si è trasferita in un’altra città, ci ha lasciato un appartamentino in comodato d’uso. Al Banco alimentare danno un po’ di tutto. Certo non basta per l’intero mese, ma è un aiuto in più ed è meglio di niente. Quando vado al supermercato osservo la roba esposta sui banconi, però alla fine non compro quasi niente».

Il viceparroco don Victor è originario dell’Ecuador e sa bene cosa significhi non avere sulla tavola neanche un piatto di riso: «Ho conosciuto la povertà assoluta, ma Dio mi ha regalato una nuova dignità. Ringrazio il Banco alimentare che ci dà la possibilità di aiutare le famiglie bisognose di via Popilia. Con la scusa delle benedizioni, abbiamo ripreso l’abitudine di entrare nelle case del quartiere e questo ci consente di avere il polso della situazione. Quando non riusciamo a soddisfare le richieste di tutti, ci rivolgiamo alla Caritas diocesana».
Francesca, Mimma e Assunta salutano i volontari, volgono un ultimo sguardo alla statua di San Francesco e, con il cuore ricolmo di gratitudine, s’incamminano lente verso casa: i carrellini della spesa adesso traboccano di carità.

