La Dda di Catanzaro, all’indomani della sentenza di primo grado del processo ordinario denominato Reset, l’inchiesta antimafia contro la ‘ndrangheta cosentina, ha invocato l’applicazione della misura cautelare inframuraria per gli imputati condannati a oltre dieci anni di reclusione, attualmente sottoposti a misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari, fino a chi ha partecipato all’istruttoria in stato di libertà.

Il tribunale collegiale di Cosenza, presieduto da Carmen Ciarcia, ha rigettato tutte le richieste avanzate dai pubblici ministeri Corrado Cubellotti e Vito Valerio, ritenendo non sussistenti il pericolo di reiterazione del reato, il rischio di fuga e quello di inquinamento delle prove. Tuttavia, l’ufficio inquirente del capoluogo di regione ha impugnato il provvedimento cautelare in appello, con udienza fissata per il prossimo mese di dicembre.

Processo Reset, la sentenza di primo grado

Il dibattimento, in sede di rito ordinario, ha sostanzialmente accertato l’esistenza di una vasta associazione mafiosa operante tra Cosenza, Rende e Roggiano Gravina. Per la Dda di Catanzaro si tratta di una confederazione composta dai clan di ‘ndrangheta degli italiani, compreso il gruppo Presta, e degli “zingari” cosentini.

Rispetto al rito abbreviato, i giudici collegiali hanno evidenziato che, oltre a non essere una ‘ndrangheta dedita al riciclaggio di “denaro sporco”, la stessa non è di tipo armato. Ciò emerge dal dispositivo, nella parte in cui il tribunale, condannando gli imputati coinvolti nel primo capo d’accusa, ha escluso il comma 4 e il comma 6. Questa decisione ha riguardato nello specifico Antonio Presta, Giuseppe Presta, Carmine Caputo, Giuseppe Bartucci, Francesco Casella, Giovanni Garofalo, Alessandro Morrone, Sergio Raimondo, Denny Romano e Sandro Vomero.

Ricordiamo che i giudici Carmen Ciarcia, Stefania Antico e Iole Vigna hanno pronunciato oltre 60 assoluzioni (tra queste, la vicenda giudiziaria sul voto di scambio a Rende, accusa caduta per tutti gli imputati) ma anche 28 condanne per il reato associativo di stampo mafioso.