Nel cuore del processo abbreviato Reset, non solo gli imputati-collaboratori hanno offerto un contributo decisivo. Un’intera sezione delle motivazioni della sentenza, firmata dalla giudice Fabiana Giacchetti, è infatti dedicata ai collaboratori non imputati. Si tratta di soggetti fuoriusciti nel tempo dai vari clan della ‘ndrangheta cosentina, già ascoltati e riconosciuti attendibili in numerosi procedimenti. In questo processo, la loro voce ha permesso di consolidare lo scenario investigativo, con dichiarazioni considerate «congrue, prive di contraddizioni e congruamente inserite nel tempo e nello spazio».

Franco Bruzzese, ex “capo società” del clan Rango-Zingari, già condannato per l’omicidio Bruni, viene giudicato «intrinsecamente attendibile». La Corte ricorda che «le sue dichiarazioni sono state rese in termini non generici ma assai dettagliati e con richiamo a conoscenze specifiche dei fatti».

Roberto Calabrese Violetta, uomo di fiducia di Michele Bruni, offre dichiarazioni precise sulla gestione dei videopoker e sul ruolo centrale di Patitucci: “Da Patitucci dovevano passare tutti gli ‘ndranghetisti di Cosenza e provincia”. La sua attendibilità è stata più volte confermata, anche nel processo “Laqueo”.

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Vincenzo De Rose, ex spacciatore dei Banana, collabora dopo minacce di morte. Descrive “il sottobosco di pusher cosentini” e fornisce riscontri su omicidi e usura. Le sue dichiarazioni sono state già valorizzate in “Apocalisse” e “Testa del Serpente”.

Ernesto Foggetti, figlio del più noto Adolfo, racconta dell’accordo per la bacinella comune, a cui assiste da vicino: «Durante una riunione a casa di Gianfranco Bruni venne decisa la nascita di una bacinella comune». Ritenuto credibile anche dopo le smentite del padre, tornato sui suoi passi.

Francesco Galdi, collaboratore del 2011, fornisce «una fotografia precisa dei mutamenti criminali del decennio 2000-2010», tracciando legami tra traffico internazionale di droga e nuovi equilibri interni a Cosenza.

Silvio Gioia, rapinatore e pusher per il clan Perna, collabora nel 2013 e descrive «il mercato dello stupefacente a San Vito». La sua attendibilità è già stata riconosciuta nella sentenza sull’omicidio Bruni.

Edyta Kopaczynska, compagna di Michele Bruni, è condannata per 416 bis. Partecipa alla nascita della bacinella unica e racconta di essere stata «tenuta costantemente informata dal suo compagno». La sua posizione privilegiata le consente di fornire un racconto «lineare, non contraddittorio e di valore storico».

Marco Massaro, ex del gruppo di Andreotta, collabora dopo un’accusa interna per furto di droga. Contribuisce alla ricostruzione del contesto delle rapine e degli atti intimidatori, confermati da altri pentiti.

Giuseppe Montemurro descrive in dettaglio «il racket delle discoteche» e il ruolo degli zingari e degli italiani nella gestione della vigilanza. Riferisce anche sulla suddivisione dei profitti: «50% ai Muto, 25% alla bacinella cosentina, 25% a Esposito».

Francesco Noblea, ex narcotrafficante dei Banana, già condannato in “Job Center”, contribuisce alla mappatura dei canali di spaccio. Il giudice lo considera attendibile «per linearità e mancanza di astio».

Marco Paura, anche lui ex del gruppo Banana, collabora per evitare ritorsioni dopo l’emersione del suo ruolo di informatore. Descrive nel dettaglio «le gerarchie dello spaccio cittadino» e i legami tra clan. Alberto Novello, coinvolto in una tentata estorsione a Marano, si allontana dagli zingari per avvicinarsi al gruppo Perna. Fornisce riscontri su armi, droga e dinamiche interne. Ritenuto attendibile. Luca Pellicori, custode del libro mastro dello spaccio del clan Perna, testimone della nascita e della crisi del gruppo. Racconta gli scontri con i Rango-Zingari e l’equilibrio precario mantenuto fino al 2014. Mattia Pulicanò, affiliato alla cosca Lanzino-Ruà, collabora dopo numerosi arresti. Riferisce della sua affiliazione e del legame diretto con Patitucci, per il quale ha svolto il ruolo di autista.

Pierluigi Terrazzano, collaboratore dal 2012, ha rivelato il progetto di fusione tra i clan Lanzino e Zingari. Nonostante la ritrattazione successiva, la giudice afferma che «le missive tardive non scalfiscono un racconto lineare, coerente e riscontrato», motivato da timori per la sua incolumità e da una relazione sentimentale con la moglie di un boss.

In conclusione, per tutti questi soggetti – eccetto Roberto Porcaro, già escluso dal giudizio di attendibilità – il giudice Giacchetti afferma che non emergono motivi di astio nei confronti dei chiamati in correità. I racconti risultano «in larga parte autoaccusatori, precisi e riscontrati, anche in assenza di formale imputazione nel processo Reset».