Nell’intervento introduttivo della requisitoria del processo abbreviato di “Reset“, il procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla ha toccato uno dei temi che stanno più a cuore alle forze dell’ordine e ai magistrati: l’omertà e l’assoggettamento. Due condizioni che, nel caso dell’inchiesta contro la ‘ndrangheta cosentina, erano emerse già nella fase delle indagini preliminari. Una situazione già messa in risalto dai pubblici ministeri Corrado Cubellotti e Vito Valerio, nella richiesta di misura cautelare avanzata all’allora gip di Catanzaro Alfredo Ferraro.

Le cose tuttavia non sono cambiate con lo scorrere del tempo. Forse, sono anche peggiorate. E ci riferiamo al numero «impietoso» di costituzioni di parti civili reali nel processo in corso di svolgimento nell’aula bunker di Catanzaro, dove ci sono gli imputati che hanno scelto di farsi giudicare con un rito alternativo. I magistrati antimafia scrivevano oltre un anno fa che nell’area urbana di Cosenza è «diffuso un senso di omertà in cui versa la popolazione» dovuto essenzialmente «alla paura di ritorsioni da parte dei clan ed alla generica sfiducia nei confronti dell’operato delle forze dell’ordine e della giustizia».

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«Del resto – affermavano i titolari della maxi inchiesta “Reset” – proprio le perpetrazioni di efferati reati-fine quali le estorsioni, l’usura, ma anche la fittizia intestazione dei beni, per la loro stessa natura, contengono in sé gli elementi che determinano nella popolazione un profondo senso di impotenza che si traduce inevitabilmente in una stratificata e rassegnata condizione di assoggettamento». 

Omertà e assoggettamento: la denuncia del procuratore Capomolla

L’attuale coordinatore della procura di Catanzaro, dopo l’addio di Nicola Gratteri passato all’ufficio inquirente di Napoli, prende spunto da un capo d’imputazione per denunciare quanto riscontrato nelle varie fasi.

«Sulle sommarie informazioni» del soggetto che sarebbe stato “strozzato” dalla cosca degli italiani, «in realtà dobbiamo fare anche qui una premessa, che vale» per la parte offesa in questione «ma vale anche per, direi, quasi il 99 per cento delle sommarie informazioni rese nell’ambito di questo procedimento dalle persone offese, ovvero la dimostrazione di come la forza di intimidazione dell’associazione si traduca in maniera assolutamente concreta ed evidente in una condizione di assoluto assoggettamento e di omertà nelle persone offese, che a sua volta si traduce in che cosa? Sicuramente nel rifiuto di collaborare pienamente con gli organi dello Stato, con la Magistratura, con le forze dell’ordine, per la paura ovviamente di subire danni diretti o indiretti alla propria persona o alla propria attività, ma questo rifiuto di collaborare è dato anche, ed è questo un tratto a mio avviso caratterizzante, la specificità della ‘ndrangheta cosentina, dalla mera proiezione da parte delle persone offese di subire anche solo svantaggi da che cosa? Dall’adottare un contegno oppositivo ai soggetti continui».

«Rifiuto di collaborare con la magistratura»

«Questo è un passaggio importante, perché questo rifiuto di collaborare, ed è questa una considerazione che a mio avviso già nella sentenza di abbreviato lei dovrà fare rispetto ad una premessa sulla credibilità e attendibilità piena o parziale delle persone offese, che hanno reso dichiarazioni» prosegue Capomolla «è dovuto non soltanto alla paura di subire ritorsioni, dirette o indirette alla persona o all’attività, ma anche, dicevo, dalla proiezione di subire meri svantaggi. Da quale comportamento? Dal comportamento di un contegno oppositivo a chi? Ai soggetti che sono contigui all’associazione» afferma il procuratore di Catanzaro.

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«Il ragionamento di mera convenienza – continua il procuratore facente funzioni – oltre alla paura e al timore di subire attività c’è anche in molti casi un mero atteggiamento di convenienza, per dire: “Io non mi voglio schierare formalmente contro i soggetti che sono contigui all’associazione, perché questo mi potrà portare degli svantaggi sotto più punti di vista“».

«Pensiamo ad un imprenditore che non denuncia non solo e non tanto per paura di ritorsione, ma anche perché un imprenditore dell’edilizia sa bene che permanendo il vincolo associativo e permanendo la forza di intimidazione dell’associazione sul territorio, fra un anno, due anni, tre anni, quando ci saranno gare di appalto, nelle quali si infiltrerà l’azione della associazione criminale, sarà pretermesso ad ogni affidamento di questo tipo, per il fatto di aver in passato tenuto un comportamento, a nostro avviso diligente, di collaborazione con la Magistratura, con le forze dell’ordine e quindi oppositivo al comportamento dei soggetti contigui all’associazione». Omertà e assoggettamento dunque da debellare e condannare in ogni ambito della società civile.