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Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di Michele Papasergio, responsabile del dipartimento Agricoltura di Italia del Meridione, sulle proteste degli agricoltori italiani ed europei in corso in queste ore.
L’agricoltura come fonte di sostentamento, come primo presidio per la salvaguardia del territorio, come custode di cultura contadina e tradizioni secolari che altrimenti andrebbero perse, ma anche come lavoro dignitoso per una categoria che, pur operando nell’ombra, consente a tutti noi di affrontare quotidianamente la nostra vita. Perché di questo si tratta, restituire dignità ad un settore fondamentale per la nostra economia e per le vite di tutti noi, un settore troppe volte bistrattato e relegato ai margini della vita economica e sociale del nostro paese, ma non solo del nostro.
Quello che sta accadendo in tutta Europa, e cioè la protesta degli agricoltori, non è altro che il risultato di politiche nazionali e comunitarie che non tengono adeguatamente in considerazione le istanze di una categoria, quella degli agricoltori e degli allevatori, che è ormai arrivata allo stremo delle forze. Le motivazioni sono molteplici, dall’inarrestabile aumento dei costi di produzione fino alla scarsa, spesso insufficiente, remunerazione all’origine dei prodotti agricoli. Insufficiente perché spesso non consente nemmeno di coprire i costi di produzione.
Basti pensare che, da metà degli anni ’80 ad oggi, a fronte di un aumento dei costi di produzione a carattere pressoché esponenziale, il prezzo corrisposto all’origine per i prodotti agricoli è rimasto quasi invariato. E chi ne fa le spese sono principalmente quelle piccole aziende agricole, non adeguatamente strutturate, che non riescono a stare al passo con il cambiamento dei tempi. La GDO, la grande distribuzione organizzata, alla quale è destinata la quasi totalità della produzione agricola nazionale e comunitaria fa il suo lavoro, cioè garantire un servizio ai consumatori, ma anche e soprattutto creare reddito d’impresa, questo avviene spesso a scapito dei produttori agricoli e degli allevatori, sotto pagando i loro prodotti che non avrebbero modo di trovare una collocazione alternativa sul mercato se non attraverso i canali della GDO.
Un altro dei problemi sollevati dai manifestanti è rappresentato dall’utilizzo della chimica in agricoltura. In Italia in controlli sull’uso dei fitofarmaci sono molto stringenti ma non lo sono altrettanto in altri Paesi, sopratutto extra europei. Si pensi ai prodotti provenienti dal Nord Africa o al grano proveniente dal Canada dove a causa del clima poco favorevole viene disseccato tramite l’utilizzo del tanto criticato Glifosate, che è un potente erbicida. La domanda è perché un agricoltore italiano deve essere costretto, da norme comunitarie, statali o regionali, a non usare un formulato chimico nei suoi campi quando poi lo stesso formulato chimico viene usato da concorrenti di altri paesi che poi esporteranno i loro prodotti agricoli in Italia per poi farceli ritrovare sulle nostre tavole? Che senso ha tutto ciò?
I consumatori italiani ed europei vogliono mangiare prodotti il più possibile a km zero, prodotti preferibilmente riconducibili ai territori in cui vivono, così facendo le istituzioni europee e quelle nazionali favoriranno il processo opposto. Se le politiche agricole comunitarie e nazionali non cambieranno direzione, restituendo maggiori diritti ma soprattutto dignità, economica e sociale, al comparto agricolo, diventeremo paesi di soli consumatori, la produzione agricola primaria si sposterà altrove perché non più sostenibile nei nostri territori e i nostri agricoltori e allevatori lasceranno incolte le loro terre fino ad abbandonarle.
E’ questo che vogliamo? Non credo, ma è quello che sta accadendo. L’ultimo censimento generale dell’agricoltura, elaborato dall’ISTAT tra gennaio e luglio 2021, ci dice che il numero di aziende agricole in Italia nel 1982 era pari 3.133.118, nel 2020 erano diventate 1.133.023. In poco meno di 40 anni ne abbiamo perso quasi i due terzi. Gli agricoltori non ce la fanno più. Cosa poter fare per cercare di alleviare le problematiche che stanno affliggendo l’intero comparto agricolo nazionale ed europeo? Bisogna garantire una maggiore redditività dei prodotti agricoli alla luce dello spropositato aumento dei costi di produzione.
Salvo rare eccezioni, e cioè per prodotti di nicchia e di particolare pregio, i prezzi di vendita all’origine li fa l’acquirente, come se stesse acquistando delle commodities, il produttore non ha alcuna forza contrattuale in tal senso, anche se facente parte di organizzazioni di produttori (O.P.) o di associazioni di organizzazioni di produttori (A.O.P.). Bisognerebbe iniziare a ragionare sull’idea di adottare un prezzo minimo di vendita all’origine, al di sotto del quale non si può scendere, in modo da garantire ai produttori almeno il recupero dei costi di produzione. E’ necessario ridurre la forbice fra il prezzo corrisposto all’origine ai produttori e quello pagato al dettaglio dai consumatori, non è possibile che sui banchi della GDO si trovino i prodotti ad un prezzo pari, in alcuni casi, anche a cinque volte quanto pagato ai produttori. Con i rischi per lo più a carico di questi ultimi, le aziende agricole sono infatti i soggetti più deboli e maggiormente attaccabili dell’intera filiera.
In questo dovrebbero intervenire i Governi nazionali, riflettendo sul fatto che forse sarebbe più ragionevole consumare il prodotto italiano prima di pensare alle importazioni, questo è un punto fondamentale. Del resto, paesi come la Francia o gli Stati Uniti d’America adottano questo tipo di politica, a tratti protezionista, a tutela dei produttori agricoli nazionali. E’ necessario operare in un contesto di concorrenza leale, adottando regole meno stringenti per tutti o magari uguali per tutti perché non si può competere contro concorrenti che non sono obbligati a rispettare le stesse regole a cui sono soggetti gli agricoltori italiani, infatti se un formulato chimico non è ammesso in Italia per la coltivazione di un determinato prodotto, non vedo con quale criterio si possa importare da paesi terzi, magari anche extra UE, lo stesso prodotto che è stato ottenuto usando proprio quel formulato vietato in Italia.
Così facendo si prendono in giro sia gli agricoltori sia i consumatori finali. Gli agricoltori vogliono vivere del proprio lavoro, non di sussidi, che non sono comunque mai sufficienti ad annullare il gap esistente fra prezzo di vendita e i costi di produzione. E’ però anche necessario un risveglio delle coscienze, i cittadini devono prendere atto che il lavoro dell’agricoltore non è scontato, ma ha un suo valore e una grande dignità!