Di Ugo Adamo*

Esattamente un anno fa, sulla stampa nazionale veniva rilanciata la notizia che a Cosenza il diritto all’aborto non aveva cittadinanza per il numero elevatissimo di obiettori di coscienza. Trascorsi 12 mesi, anche alla luce di una recentissima conferenza stampa tenutasi a Palazzo Montecitorio, pare opportuno proporre al lettore qualche veloce considerazione.

In rete è rintracciabile agevolmente uno scritto a firma congiunta di due studiosi di filosofia Marco Malaguti e Maria Alessandra Varone Breve critica filosofica (con supporto tragico) all’aborto e all’eutanasia.

Uno scritto (scientifico?) senza fonti né note.

Chi scrive deve ammettere di non essere riuscito ad arrivare a leggere il testo fino alla fine, anche se mancava davvero poco all’ultima delle sue 14 pagine. Nell’ultimo paragrafo affrontato, a pagina 9, si legge: «Non si invochi il desiderio di stare dalla parte degli ultimi per legittimare l’aborto, perché è un cattivo consiglio, è un inganno. In un passaggio straordinario de I fratelli Karamazov, Ivan chiede ad Aleksej se fosse disposto a sacrificare la vita di un bambino innocente per costruire il regno dei cieli» (la sottolineatura è nostra).

Ora, la pagina di Dostoevskij richiamata dagli autori è nel Volume I, Capitolo V, quello dedicato al poema de Il Grande Inquisitore, una delle perle della letteratura mondiale (Einaudi, Torino, 2021, p. 340, traduzione di Claudia Zonghetti).

Non essendo un letterato non posso disquisire del Capitolo su Il Grande Inquisitore, ma qualcosa su Il Grande fraintendimento forse possiamo provare a scriverla.

Facciamo parlare prima, però, gli autori, noti al grande pubblico per la conferenza stampa di presentazione (!) del volumetto richiamato all’inizio di questo nostro intervento, tenuta lo scorso 23 gennaio alla Camera dei deputati (!): «al di là di qualsiasi discorso generale, si deve avere la fortezza di ribadire una verità semplice: l’aborto non è mai giusto e non è un diritto, è una soluzione pratica che vuole essere sublimata a diritto inalienabile. Anche nei casi più tragici, nei dilemmi morali più strazianti, come quelli di stupro, non è mai giusto», p. 6.

Gli autori non discorrono né di libertà né di diritto all’aborto (per il nostro ordinamento l’aborto è una libertà), ma si limitano ad assumere il non diritto all’aborto e a proporre una serie di passaggi logici col solo fine di rendere le conclusioni coerenti con le premesse da loro stessi liberamente poste. Il problema, però, è che le premesse sono errate, irrimediabilmente mal poste. È evidente che se l’embrione fosse persona l’aborto sarebbe un omicidio. Ma ‒ è importante chiarirlo ‒ l’embrione non gode degli stessi diritti fondamentali della persona, perché persona non è. In quanto vita potenziale gode di interessi, che sono cosa differente dai diritti. E allora il richiamo alla pagina de I Fratelli Karamazovdove si parla di una bambina e non già di un feto è assolutamente scorretto oltre che senza senso.

Quindi, tutt’altro che premesse assiomatiche quelle poste dagli autori. Errando l’incipit del loro discorso producono una quantità di conseguenze (il)logiche che confondono il lettore. Ma la filosofia, si sa, è cosa difficile da maneggiare.

Per gli Autori, il richiamo allo stupro non è stato una presa di posizione tranciante o volutamente provocatoria, ma ha costituito la logica conseguenza di chi pone in bilanciamento la violenza sessuale e l’omicidio. Fra le due fattispecie, la seconda prevale per “importanza”: mai uccidere. Anche se questo modo di ragionare, lo si dice senza mezzi termini, ci pare francamente senza alcun pregio, per semplicità e conseguenze ordinamentali, sarebbe sbagliato dequotarlo ad affermazioni di poco conto e minoritarieperché queste tesi (evidentemente tutt’altro che nuove) hanno già avuto un grande seguito in tantissimi Paesi (per giunta liberali), come in alcuni Stati degli USA (si pensi al Missisipi e al Texax) dove la legge vieta l’interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana di gestazione, anche nei casi di stupro e di incesto.

A noi, oltre che sottolineare che tali posizioni sono state espresse in un’aula della Camera dei deputati (!), non resta che continuare a denunciare la disapplicazione di fatto della l. n. 194/1978 e ricordare che la tutela delle coscienze individuali non deve intaccare il corretto svolgimento della funzione pubblica servente il servizio pubblico assistenziale (perché la coscienza delle istituzioni è «costituita dalle leggi che le regolano»: Consiglio di Stato, sezione III, sentenza del 2 settembre 2014, n. 4460).

Una proposta infine: la lettura di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, Mai Dati. Dati aperti (sulla 194), Fandango Libri, 2022.

*costituzionalista, DESF-UniCal