Tutti gli articoli di Lettere e Opinioni
PHOTO
di Antonietta Cozza*
«Il decreto legge sulla criminalità minorile è un’autentica barbarie. Più carcere, daspo urbano, sottrazione dei figli dai propri genitori e inasprimento delle pene: questa è la risposta del governo Meloni ai fatti di Caivano e Napoli.
Con Matteo Salvini che torna a urlare parole d’ordine arrivando ad auspicare l’abbassamento dell’età dell’imputabilità “perché il 14enne che gira con un coltello o con una pistola, è capace di intendere e volere e se sbaglia, se uccide, se rapina, se spaccia deve pagare come paga un 50enne”. Pura follia. La criminalità minorile è un’autentica emergenza sociale, che mette in grave sofferenza, innanzitutto e principalmente, il sistema educativo. E, allora, non serve a niente abbassare l’età imputabile.
Fra l’altro, già oggi, il minorenne, che ha meno di 14 anni e commette un reato, può essere convocato davanti a un giudice; può essere destinatario di interventi di sostegno, che includano anche la sua famiglia; può essere destinatario, nei casi più gravi, di misure di sicurezza, basate sulla sua pericolosità sociale. Per di più, nei paesi, nei quali l’età imputabile è più bassa, non mi risulta che le cose vadano meglio. L’inasprimento delle pene non è la panacea per tutti i mali.
E, a proposito del daspo urbano da applicare ai 14enni, mi domando: il divieto di spostarsi dal comune di residenza non condanna, di fatto, quei giovani a vivere in quello stesso ambiente tossico in cui sono nati e cresciuti, penalizzandoli, quindi, ulteriormente? E ancora. Precisato che uno Stato che, come soluzione alla devianza minorile, decide di togliere l’affidamento dei figli ai propri genitori, è uno Stato che, comunque, è miseramente naufragato.
Mi domando: un ragazzino strappato ai suoi affetti, non subisce nessun trauma? Ovviamente, il ragazzo che sbaglia, va certamente punito. Ma come? Sbattendolo carcere? Questa è l’infida scorciatoia selezionata dalle destre al governo. L’unica risposta ai fatti di Caivano e di Napoli, non può essere l’apertura delle porte del carcere ai 14enni o, addirittura, a chi ha meno di 14 anni. Buttare in una cella un ragazzino di 13/14 anni, in una stanza di pochi metri quadri, insieme ad altre 6-7 persone più grandi, significa aver risolto il problema? Sempre che quel ragazzino avrà la fortuna di uscire vivo da quella cella!
Ma Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Matteo Piantedosi, almeno una sola volta nella loro vita, hanno letto la Costituzione italiana? E, almeno per sentito dire, hanno contezza di alcuni principi elementari sanciti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale? Che, da oltre quarant’anni, insegna, incessantemente, l’inderogabile obbligo, pena l’irreparabile difetto di legittimità costituzionale, dell’assoluta e imprescindibile differenziazione, in ambito penale, del regime processuale e sanzionatorio tra minorenni e maggiorenni! E, allora, è assurdo pensare che la criminalità giovanile, che spesso si annida in contesti sociali di particolare fragilità, possa essere combattuta con le manette, magari, anche, in un contesto di indiscriminata promiscuità tra adulti e minori. Certo, è molto più facile e più semplice, mandare in carcere un minorenne, piuttosto che recuperarlo. Però, il giustizialismo è il simbolo perfetto del fallimento delle politiche educative.
E così, da una parte c’è il fronte della repressione forsennata; dall’altra parte, c’è chi crede che è necessaria anche la certezza del diritto: il diritto allo studio, il diritto al lavoro, il diritto a vivere in contesti sociali civili. Va contrastata la povertà educativa. E, invece, la politica lavora per acuirla.
Servono scuole ed eserciti di insegnanti. E, invece, il decreto attuativo, previsto dalla legge di bilancio 2023, detta una cornice che depaupera il patrimonio “scuola”. Tant’è vero, che qui in Calabria, la Giunta regionale, in ossequiosa ottemperanza a quel decreto attuativo (altre Regioni, invece, l’hanno impugnato davanti alla Corte Costituzionale), ha approvato le linee guida sul Piano di dimensionamento della rete scolastica per il prossimo triennio 2024-2027 che prevede, in tutta la regione, attraverso una drastica ondata di accorpamenti, la soppressione di 79 autonomie scolastiche. Il che, tradotto, significa che, in Calabria, il governo regionale di centro destra con un solo colpo di spugna, fa sparire 79 scuole. E l’identico fenomeno “soppressivo” si riprodurrà, esattamente, in scala, su tutto il territorio nazionale. E tutto questo predispone alla dispersione scolastica.
La scuola, quale comunità educante, si configura come un laboratorio aperto di cultura, di formazione e di crescita umana e sociale. Questo è la scuola. E, allora mi domando: in una Regione, la Calabria, per l’appunto, nella quale prepotente e spasmodico si eleva il bisogno di un grande investimento sulla educazione delle coscienze, è poi funzionale e coerente decretare il taglio di 79 scuole? O, piuttosto, si tratta di una soppressione, che, inesorabilmente, mina, in una Regione, nella quale lo spirito pubblico è debole ed è gracile, le fondamenta dell’infrastruttura democratica più importante della Repubblica?
Serve invece un reale e costante presidio del territorio, per permettere un monitoraggio e un sostegno alle famiglie. Non solo da parte delle forze di polizia, ma dentro un rapporto di complementare sussidiarietà, da parte, anche, di un composito reticoli di ulteriori presidi di cittadinanza e di legalità. Occorrono, insomma, interventi strutturali. Usare il carcere significa, solo, negare l’opportunità reale di una nuova vita futura».
*Antonietta Cozza, insegnante e consigliera comunale di Cosenza