È stato un mese complicato, diciamo pure così. Dalla coda di gennaio in poi, uno strano incastro astrale ha portato la città dei bruzi ha occupare le pagine della “nera” neanche fosse Cabot Cove. Il grande occhio di Sauron, quello dei “media nazionali” che si cibano di dirette pomeridiane con collegamenti in studi abbagliati da fari a effetto “apparizione mistica” perché le conduttrici appaiano reincarnazioni di badesse manzoniane ma con i boccoli e gli effetti luce contouring, si è diretto a latitudine Cosenza, per raccontare una ruota di eventi che hanno tramutato una cittadina qualunque, con le sue beghe politico-sanitarie da ordinaria amministrazione da audience stra-local, all’Albequerque immaginata da Vince Gilligan in Breaking Bad, in cui a ogni angolo accade qualcosa di sinistro, dietro un’apparenza linda da cittadina tutto centro commerciale e chiesa.

La storia del mese horribilis è cominciato con il rapimento di Sofia: un instant crime, un concentrato di tre ore – a parte i contenuti speciali tutt’ora in corso – avvenuto interamente in diretta tv e social, con lacrime e incursioni, accaduto incredibilmente, non in un vicolo scuro di periferia, ma in una clinica centralissima. Ad agire indisturbata, una donna che per nove mesi aveva raccontato a tutti, amici e familiari, di essere finalmente incinta. Dopo aver strizzato le opinioni di tutti i criminologi e psichiatri della penisola, sociologi, ginecologi (ci sarà anche capitato qualche virologo caduto in bassa fortuna), restano ora briciole giudiziarie da spargere negli show di prima e seconda serata alla bisogna, come becchime per gli amanti dei legal thriller. Aspettando il finale di stagione.

Qualche giorno dopo il rapimento e il ritrovamento della neonata, sempre a Cosenza, ecco il tentativo creativo di evasione di un detenuto – novello Andrew Dufresne (ricordate “Le ali della libertà” e la fuga nelle fogne?), in un sacco della spazzatura (non aveva considerato il fatto che il ritiro non è sempre così puntuale).

Non è finita. Il giorno seguente arriva all’ospedale di Cosenza un bambino di tre anni, quasi quattro. Ha segni di percosse ovunque, gli hanno dato dei calci in mezzo alle gambe. I medici lo ricoverano d’urgenza. È accompagnato dalla mamma e la nonna che cercano di raccontare alle tv (ormai lì in pianta stabile dal caso Rosa Vespa), che i due fratellini sono solo monelli, che si fanno male giocando. E fumando, evidentemente, perché il più piccolo ha anche segni di sigarette sulla pelle.

Dopo alcuni giorni, i carabinieri su ordine del giudice, allontanano dalla madre anche il secondo bimbo che, si scoprirà, ha un braccio fratturato. Un orrore. Non è finita. Due troupe, una Mediaset e una Rai, vanno sotto casa del padre naturale dei bambini, che vivevano con la madre e il nuovo compagno. L’uomo rifiuta interviste e per sottolineare il suo disappunto, spara dei colpi di fucile ad aria compressa. Inviati in fuga e un nuovo capitolo del mese nero di Cosenza. Il compagno della donna, intanto, viene arrestato. Secondo l’accusa è lui ad avere massacrato i bambini.

Ancora. Qualche giorno fa, in pieno centro, il mezzogiorno diventa di fuoco. Su viale Trieste un negoziante, specializzato nella vendita di sigarette elettroniche, pare per una lite, viene colpito da un proiettile al braccio. A sparare è un uomo che si è dato alla fuga subito dopo. Di lui ancora nessuna notizia.

E arriviamo alle ultimissime di due giorni fa. Una bomba ha svegliato via Caloprese intorno all’una di notte. Ignoti hanno fatto saltare la saracinesca di un punto di noleggio auto di prossima apertura. I carabinieri, al solito, indagano mentre a Cosenza non resta che pregare Sanremo, il santo protettore dei fiori, dell’Ariston, delle sale stampa, che quest’anno accoglie nel suo Empireo Dario Brunori con la sua Sas, l’unico in grado di riscrivere la sceneggiatura di questa storia cosentina, togliendo la parte Twin Peaks per trasformarla in “Friends”.