La giovane studentessa partecipa con entusiasmo a tutte le attività del centro del Punto Luce di Scalea, comprese quelle che si svolgono nel periodo natalizio, perché si può vivere in armonia pur mantenendo la propria identità. L’odio e le divisioni sono soltanto una distorsione delle religioni
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Vania Javed ha 15 anni, vive a Scalea con la sua famiglia da molti anni ed è di origine pakistana. La incontriamo al Punto Luce di Scalea, un luogo che, più che un centro educativo, è un laboratorio quotidiano di inclusione, dove bambini e ragazzi crescono insieme indipendentemente da provenienza, cultura o fede religiosa. Qui le differenze non dividono, uniscono.
Vania è musulmana e partecipa con entusiasmo a tutte le attività del centro, comprese quelle che si svolgono nel periodo natalizio, perché si può vivere in pace e in armonia, pur mantenendo la propria identità. Lei ce lo spiega con parole semplici ma potentissime: «È l’amore che tiene uniti tutti. Ogni religione insegna a vivere in pace». Tutto il resto, l’odio, la violenza, la divisione, sono semmai una distorsione della fede. Le sue parole, a poche ore dal Natale, suonano come una sonora lezione di cultura e antropologia.
La voce di Gaza
Abbiamo conosciuto Vania durante la “Festa dei Popoli”, l’appuntamento annuale con cui il Punto Luce di Scalea, gestito dall’associazione Gianfrancesco Serio del presidente Angelo Serio, celebra la pace e l’incontro tra culture. In quell’occasione, Vania ha scelto di interpretare una ragazza di Gaza.
«Non so perché la mia terra debba essere un campo di guerra – ha detto nel suo monologo -. Non so perché la mia infanzia debba avere il colore della sabbia. Non so perché gli adulti parlino di noi come numeri». Parole straordinariamente empatiche, capaci di attraversare la sala polifunzionale di Scalea come una ferita aperta. Il pubblico si è commosso fino alle lacrime. «Non riesco nemmeno a immaginare cosa possano provare quei ragazzi che vivono lì», ci ha raccontato. «Quelle frasi mi sono entrate nel cuore quando le ho lette – dice, riferendosi al copione -. Per me è stato un grande piacere portarle davanti a tutti. Speravo arrivassero anche agli altri, come sono arrivate a me».
La scelta dell’hijab
Vania ha occhi neri e uno sguardo profondo. Indossa un completo rosa pastello a fantasia e l’hijab. Le chiediamo se si senta a suo agio, se indossarlo sia una scelta o un’imposizione. La risposta arriva senza esitazioni: «È una scelta. L’Islam non obbliga a portarlo. Prima non lo indossavo nemmeno io, ho iniziato a farlo quando ne ho compreso il significato». Per spiegarsi usa un’immagine semplice e chiarissima: «Le regine indossano la corona per distinguersi, noi il velo. È anche senso di appartenenza». E se un giorno decidesse di toglierlo? Sorride: «Non accadrebbe nulla. Lo toglierei e basta».
Calabria, terra che accoglie
La storia di Vania è un esempio di integrazione da far studiare nelle scuole. Parla italiano fluentemente, è parte attiva della società, studia con profitto, ha un grande talento per il disegno e sogna di diventare medico o docente. Quando lo dice, la coordinatrice del Punto Luce, Ida Todaro, interviene a voce alta: «Puoi diventare tutto quello che vuoi». Lo dice con toni decisi, nonostante la dolcezza del suo sguardo, per ricordarle che tra lei e i suoi obiettivi non ci sarà alcun ostacolo.
Qui, al Punto Luce, i ragazzi crescono imparando che la libertà è un diritto, non uno slogan. Vania sorride, con gli occhi pieni di luce. «Lo so», risponde. È la sicurezza di chi sa di non essere sola, sostenuta anche da una famiglia che crede in lei. Non a caso, per procedere con l’intervista, abbiamo chiesto l’autorizzazione ai genitori, soltanto perché lei è minorenne. Il padre le ha lasciato piena facoltà: «Se lei vuole, per me non c’è nessun problema».
Basta bullismo in nome di Dio
Nella nostra lunga chiacchierata, le chiediamo anche se qualcuno l’abbia mai fatta sentire “diversa”, se abbia mai subito episodi di razzismo o derisione. «Mai, grazie a Dio, ma so che succede a tanti ragazzi della mia età». E aggiunge, con una maturità sorprendente: «Tutti parlano della libertà di scegliere la propria religione, ma molti ragazzi non pensano davvero che le religioni siano tutte uguali. C’è ancora chi bullizza gli altri solo per il credo religioso. Questa cosa non va bene. Io mi aspetto una vera uguaglianza, pace e amore tra tutti. Ognuno può avere la propria religione e convivere serenamente».
L’albero dei popoli
Mentre parla, a pochi metri da lei, svetta un albero colorato, pieno di letterine. «Non ti dà fastidio l’albero di Natale?», chiediamo ingenuamente. Vania sorride, con quella calma serafica che sembra essere già la risposta.
«Quello non è un albero di Natale, è l’albero dei popoli. Ognuno di noi può appenderci quello che vuole: una pallina, una lettera, un pensiero. Ma, in generale, non mi dà fastidio nulla. Gli addobbi natalizi per i cattolici sono simbolo di festa e gioia. Perché dovrebbero darmi fastidio?». A soli 15 anni, Vania non alza muri. Li abbatte, uno a uno, con la forza e la tranquillità di chi ha capito che la pace non è un’utopia. Serve solo un po’ d’amore.

