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Quando la parola passa ai cannoni, la sua guerra, Pierino Buffone vuole farla nei bersaglieri, però lo mandano tra infermieri e barellieri. «Io sono un moschettiere del Duce» tuona, ma è tutto inutile. Ed è allora, tra i mutilati e il sibilo delle bombe che gli matura in testa l’idea di un ospedale a Rogliano. Se ne ricorderà nel 1953 quando, eletto deputato con la Dc (ci aveva già provato nel ’48, ma gli andò male) si fa assegnare alla commissione Sanità. «Ma Rogliano sta a soli 19 km da Cosenza» obiettano i vertici del suo partito. Per tutta risposta, lui si presenta a Roma con una sottoscrizione popolare: «Questa è parte dei soldi, ci date il resto?». Nasce così il progetto “Santa Barbara”: come ospedale di popolo. Mezzo secolo prima del famigerato Piano di rientro, certo, ma questa è un’altra storia.
Quella di Buffone, invece, segue un percorso più lineare: sindaco di Rogliano per quarant’anni, deputato per oltre un ventennio, si divide tra due grandi passioni: la sanità e le forze armate. Con genio da autodidatta, riesce a far convergere i due ambiti, in virtù della legge istitutiva dell’Accademia di sanità militare che porta il suo nome. Ha la quinta elementare, ma sfoggia in Parlamento un’erudizione tale da paventare il ricorso a un compendio di esorcismo. Ed è proprio durante una seduta alla Camera che Filippo Anfuso, il fascista gentiluomo, si sente male mentre parla. Don Pierino si leva per sorreggerlo, ma Anfuso gli muore tra le braccia. Altri tempi, altra politica. Tempi in cui presidente della provincia di Cosenza è Tonino Guarasci, roglianese anche lui, ma troppo legato a Riccardo Misasi con cui Buffone non va di pelo, politicamente parlando. Misasi è della sinistra Dc, lui degasperiano convinto. Altri tempi, altre dispute.
La sua storia coincide con la storia d’Italia. Segretario prima e presidente della commissione Difesa, poi sottosegretario di Stato, ha attraversato gli anni di Piazza Fontana, degli scandali Argo 16 e Lockeed. Nei giorni del “Piano Solo” è lui a relazionare alle Camere per conto del Governo. Ed è sempre lui, il mancato bersagliere, ad avviare, in seguito, la riforma dei servizi segreti. E’ stato un po’ il custode dei segreti della Prima Repubblica, don Pierino. Ecco spiegato perché Andreotti, Cossiga, Fanfani, Mancino, De Mita, Forlani, sono andati periodicamente ad omaggiarlo nella sua “cantinella”: un monolocale rustico ubicato nel cen-tro di Rogliano. Per anni, Buffone vi ha accolto e intrattenuto i potenti e, allo stesso modo, i paesani con cene a base di prosciutto, vino e gelatina di maiale. E’ con questa sua semplicità che ha conquistato la gente ed è dalla semplicità, da quella “colletta” popolare, che nasce la sua creatura prediletta: l’ospedale.
E’ stato sindaco e presidente del Parco nazionale della Calabria, senza mai intascare una lira. Altri tempi, altri politici. Nel Savuto tenta di portarci pure l’Università e, per questo, convince Amintore Fanfani, all’epoca ministro delle Finanze, a stanziare i fondi per una strada che collega Piano Lago a Catanzaro in soli 19 minuti. La Regione affida il progetto alla Comunità montana (!) e così sorge un ponte che, per decenni, resterà lì, solitario e incompiuto, emblema del paesaggio imperfetto calabrese. L’università approderà poi su altri lidi. Muore il 29 gennaio 2013, alla vigilia di elezioni che non erano più le sue. Un atto di decenza, l’ultimo di una vita esemplare.