Longobucco, i rapporti tra Carmine Greco e i fratelli Spadafora: il ruolo dei pentiti
Un fiume di accuse contro il maresciallo dei carabinieri forestali di Longobucco, Carmine Greco, accusato di associazione mafiosa nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, che ieri mattina ha portato all’arresto del militare dell’Arma di Spezzano Sila. Un capo d’imputazione lungo e articolato in due pagine, arricchito da numerose dichiarazioni rese dai collaboratori di
Un fiume di accuse contro il maresciallo dei carabinieri forestali di Longobucco, Carmine Greco, accusato di associazione mafiosa nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, che ieri mattina ha portato all’arresto del militare dell’Arma di Spezzano Sila.
Un capo d’imputazione lungo e articolato in due pagine, arricchito da numerose dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, vale a dire dai pentiti Francesco Oliverio, Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna.
L’Ufficio antimafia, diretto dal procuratore capo Nicola Gratteri, ritiene che Greco abbia fatto parte con Nicolino Grande Aracri, Francesco Garofalo, Salvatore Comberiati (classe 1966), Antonio e Luigi Spadafora, di una associazione mafiosa operante in Calabria e su tutto il territorio nazionale.
Il presunto gruppo mafioso avrebbe il controllo del traffico di armi, esplosivi e munizioni, nonché del traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, usure, furti, riciclaggio e di altri reati-fine che consentirebbero di dominare il territorio controllato.
In particolare, la Dda contesta a Greco che, in qualità di comandante della stazione carabinieri forestali di Longobucco “Cava di Melis”, era legato agli imprenditori boschivi Pasquale Spadafora, Antonio Spadafora, Rosario Spadafora e Luigi Spadafora, titolari dell’impresa “F.lli Spadafora srl” di San Giovanni in Fiore e “Società Cooperativa sociale Kalasarna” di Campana. Gli imprenditori menzionati avrebbero beneficiato per tutto l’altopiano siano di appalti pubblici e privati per il taglio boschivo, compiendo atti di concorrenza sleale mediante violenza, «con l’impiego del metodo mafioso, al fine di annichilire ogni possibile concorrenza».
Secondo la Dda, Carmine Greco avrebbe curato gli interessi delle suddette ditte boschive, e di conseguenza della presunta compagine mafiosa, «consentendo in maniera perdurante e sistematica che le suddette imprese potessero svolgere le loro attività senza essere sottoposte a controlli intesi a verificare il rispetto delle autorizzazioni previste dalla vigente normativa regionale sulla cura e gestione del patrimonio boschivo, omettendo di intervenire laddove vi fossero segnalazioni, informando gli imprenditori di imminenti controlli da svolgersi, intervenendo per estromettere imprese concorrenti, ovvero svolgendo personalmente indagini dove erano coinvolti gli stessi sodali, adoperandosi anche con metodiche tali da inquinare le prove in corso di assunzione, per raggiungere risultati processuali volte a favorirli». Ed infine, Carmine Greco avrebbe effettuato attività di mediazione tra alienanti aree boschive remunerative e gli Spadafora. Condotte illecite contestate dai magistrati antimafia che sarebbero iniziate nel 2011 e proseguite fino ai giorni nostri. Sul ruolo dei fratelli Spadafora, hanno fornito dichiarazioni i pentiti Oliverio, Foggetti e Lamanna.
Il primo, ex capo clan di Belvedere Spinello, ha spiegato alla Dda di Catanzaro che fin dal 2005 aveva avvicinato i fratelli Spadafora per controllare gli appalti del taglio dei boschi e che «Pasquale Spadafora aveva acquisito i gradi di picciotto, camorrista e sgarrista in seno alla propria associazione mafiosa». Il pentito inoltre ha dichiarato che sin dal 2005 «l’azienda Spadafora era mia fiduciaria» e alcuni membri avrebbero avuto il compito di stimare il valore degli appalti boschivi e dei terreni e di controllare tutta l’attività boschiva del comune di San Giovanni in Fiore.
Ma le accuse ai fratelli Spadafora non finiscono qui. Il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio infatti ha raccontato che gli imprenditori silani sarebbero stati incaricati di effettuare i danneggiamenti «tramite ragazzi a loro disposizione» verso coloro che non consegnavano i proventi alla presunta associazione mafiosa».
Ma v’è di più, perché sempre Oliverio ha aggiunto che i fratelli Spadafora avrebbero avuto il compito di avvicinare le guardie forestali, e quindi Carmine Greco, che si sarebbero messe a disposizione, orientando i controlli «secondo il gradimento dell’associazione criminale».
L’inchiesta inoltre contiene dichiarazioni di altri imprenditori boschivi che hanno riferito come i fratelli Spadafora avessero convocato altri colleghi in un albergo di San Giovanni in Fiore per concordare la turnazione per l’aggiudicazione degli appalti e le percentuali da versare agli stessi Spadafora. Incassi, ritiene la Dda di Catanzaro, che poi sarebbero stati destinati alle casse della criminalità organizzata.
Carmine Greco, come raccontato ieri, è accusato di aver manipolato l’indagine contro la dirigente di Calabria Verde, Antonietta Caruso, coinvolgendo nelle indagini Antonio Spadafora che, all’epoca, dichiarò che la donna le fosse stata presentata da Salvatore Procopio. Risulta, però, che la Caruso abbia ammesso le sue responsabilità nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla procura di Castrovillari. Ora Carmine Greco, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri, attende di essere interrogato dal gip distrettuale di Catanzaro. (Antonio Alizzi)