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Quei rapporti mai interrotti tra i pentiti e la città di Cosenza: il retroscena

A distanza di poche settimane dal blitz "Testa di Serpente", la Squadra Mobile di Cosenza intercetta nel gennaio del 2020 una conversazione tra un collaboratore di giustizia e un suo amico

Quei rapporti mai interrotti tra i pentiti e la città di Cosenza: il retroscena

Cosenza è la città dei pentiti. Dagli anni ottanta ad oggi i collaboratori di giustizia hanno contribuito a scrivere e riscrivere centinaia di indagini della magistratura ordinaria e antimafia. Dichiarazioni che hanno riempito migliaia e migliaia di pagine, con le quali le procure hanno incriminato migliaia di mafiosi o presunti tali. Accuse prime, condanne poi.

Il momento di svolta sul pentitismo cosentino arriva sicuramente negli novanta, quando i nomi dei collaboratori sono davvero pesanti: Franco Pino su tutti. Dal 2000 in poi tocca anche gli “zingari” con Francesco Bevilacqua alias “Franchino i Mafarda”, fino agli italiani. Parliamo dei vari Francesco Amodio, Angelo Colosso, Vincenzo Dedato e tanti altri. La terza fase invece comincia la notte di un giorno a ridosso del Natale, anno 2014. Poche settimane prima la Dda di Catanzaro aveva arrestato oltre 30 persone nell’ambito dell’operazione “Nuova Famiglia“. In carcere erano finiti, tra gli altri, Maurizio Rango, Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna (quest’ultimo latitante). Due dei tre protagonisti del pentitismo in salsa silana.

In un terreno situato sulle colline di Castrolibero, zona Orto Matera, carabinieri e poliziotti si fanno indicare da Adolfo Foggetti il corpo di Luca Bruni, ucciso due anni prima su mandato di Franco Bruzzese, pentitosi quasi due anni dopo. Trovano lo scheletro e gli indumenti sotto terra. Tutto ciò diventa possibile grazie alla collaborazione del “Biondo“, all’epoca “reggente” del clan degli “zingari” di Cosenza, nella zona di Paola.

Quali sono le regole per diventare un collaboratore di giustizia?

La collaborazione con la giustizia avviene dopo una prima valutazione dei magistrati. Esiste un fase preliminare in cui l’aspirante pentito deve riferire sulle cose che sa, accusando innanzitutto se stesso, i suoi “sodali” ed eventualmente i suoi familiari. Le dichiarazioni poi vengono passate al “setaccio“, aprendo successivamente la fase più importante. Lo status di collaboratore implica una serie di cose, come il trasferimento in una località protetta dei parenti e dello stesso pentito, qualora non dovesse scontare condanne definitive.

Il collaboratore di giustizia ha sei mesi di tempo per dire tutto quello che sa, e decorre dal momento in cui il pentito dichiara la sua disponibilità a collaborare. Per accedere ai benefici di legge il pentito deve attendere le valutazioni dei magistrati, i quali si attendono che le sue dichiarazioni siano importanti e inedite. Il collaboratore, inoltre, dovrà scontare almeno un quarto della pena.

Per mantenete la collaborazione con la giustizia, il pentito non deve commettere reati e dimostrare di aver tagliato definitivamente il cordone ombelicale con la criminalità organizzata cosentina. Se viene meno questo, la revoca del programma di protezione è più che un’ipotesi.

Arresti a Cosenza, spuntano conversazioni inedite tra un pentito e un suo amico di Cosenza

Nelle carte della maxi inchiesta antimafia della Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta cosentina spunta anche una conversazione telefonica intercettata dalla Squadra Mobile di Cosenza tra un pentito e un suo amico cosentino. Intercettazione captata l’8 gennaio del 2020, ovvero circa venti giorno dopo il blitz “Testa di Serpente“, l’operazione della Dda di Catanzaro contro i gruppi diretti dalla famiglia Abbruzzese “Banana” e Roberto Porcaro. Il pentito è proprio Adolfo Foggetti che risponde alla telefonata e sulle domande più “sensibili” rimane impassibile, come annotano gli agenti della Questura di Cosenza, non facendo trapelare nulla, se non commentando gli arresti di “Testa di Serpente“, appresi mentre si trovava in carcere. Un rapporto dunque mai interrotto con la città di Cosenza.

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