Cosenza, i segreti di Edgardo Greco: si pentì per non uccidere un amico
Nel 1997 l'ex latitante collaborò con la giustizia e fu «prezioso» per i giudici di "Garden", i retroscena di quella breve e intensa stagione
Mafioso e poi latitante per sedici lunghi anni. Di Edgardo Greco si sa tutto dell’inizio e poco o nulla della fine, ma nell’epopea criminale del Killer delle carceri occupa un posto di rilievo anche la sua breve e intensa stagione da collaboratore di giustizia. Diviene tale a gennaio del 1997, con dichiarazioni spontanee rilasciate durante un’udienza del processo “Garden”. La sua è una decisione matura in presa diretta, non per contrizione o opportunità. Semmai, per fedeltà a un’amicizia.
La trippa avvelenata
L’ultimo ordine impartitogli nelle gabbie, infatti, mentre è in corso il maxiprocesso, lo mette davanti a una scelta lacerante: gli chiedono di uccidere Pasquale Pranno, che insieme al fratello Mario rappresenta per lui una stella polare. Il rapporto con i due è di vecchia data, comincia nel 1979 a Colle Triglio, carcere nel quale Greco è detenuto per una rapina. Lì conosce Mario Pranno, che anni dopo definirà «un ragazzo che cercava di avere un dialogo con i nuovi entrati senza essere manesco né arrogante. E io mi ci affezionai». Al futuro boss di San Vito riuscirà anche a salvare la vita, il giorno in cui i nemici cercano di farlo fuori. Gli inviano in cella un piatto di trippa avvelenata, ma il caso vuole che il vivandiere all’interno del carcere, incaricato di consegnare il pasto ai detenuti, sia proprio Greco. Avverte l’amico del tranello in atto e gli salva la vita.
L’agente triplo
Edgardo è scaltro. Veloce con la pistola ma anche di pensiero. Nel gruppo Perna-Pranno-Vitelli allora fresco di costituzione, in tanti si fidano di lui. Anche il capo società Franco Perna, circostanza che suggerisce a Pranno di utilizzarlo come radar all’interno dell’organizzazione. Dovrà captare gli umori, assumere informazioni per poi andare a riferirgliele. Una sorta di agente doppio, anzi triplo. Alla fine degli anni Ottanta, infatti, Greco riesce a mantenere rapporti anche con gli scissionisti dei Bartolomeo-Notargiacomo, gli arcinemici di Pranno, e dei successivi eventi, noti sotto il nome di Seconda guerra di mafia a Cosenza, sarà dunque testimone privilegiato.
Un bravo pentito
I giudici del processo “Garden” lo ritengono molto attendibile. Ratificano in sentenza il contributo da lui offerto in termini di collaborazione. Lo definiscono «prezioso». In aula, Greco offre un quadro nitido degli assetti organizzativi dei gruppi criminali, racconta spaccati inediti della vita associativa, dà indicazioni anche su diversi omicidi di cui è conoscenza. Fa tutto questo con «toni pacati e misurati» che lo rendono ancora più credibile agli occhi e alle orecchie dei magistrati giudicanti. Ammette pure di aver partecipato alla mattanza dei fratelli Bartolomeo, episodio non inserito fra i capi d’imputazione di quel processo, e al pm Stefano Tocci motiva anche la sua scelta di vuotare il sacco. È rimasto stritolato anche lui nel meccanismo di autodistruzione che si è innescato nel clan a seguito di arresti e pentimenti. Gli hanno chiesto di fare fuori il suo amico e mentore, «l’unico che durante la carcerazione mi ha dimostrato che teneva a me con affetto e roba varia». E quindi si sottrae a quell’incarico. «Non mi interessava tanto farmi il carcere» precisa per l’occasione. A non andargli giù, piuttosto, è la prospettiva «di uccidere quello che ho sempre ritenuto il più grande amico mio».
L’uomo in fuga
Alla fine del processo di primo grado, il 9 giugno del 1997, la Corte d’assise di Cosenza lo premia con una pena mite: tre anni e sei mesi di carcere per associazione mafiosa. Gode delle attenuanti della collaborazione con la giustizia e il giorno successivo torna in libertà. Raggiunge una località protetta e un anno e mezzo più tardi, il 13 marzo del 1999, arriva la sentenza d’Appello che conferma la sua condanna. Tempo due giorni e si rende irreperibile, prove tecniche della sua fuga futura. Lo arrestano cinque giorni più tardi che è già un altro uomo. Ha scelto di riarmarsi, tant’è che i carabinieri lo trovano in possesso di una pistola clandestina. Torna in carcere per il successivo trienno e nel 2002 è di nuovo un uomo libero. Pochi anni ancora e nel 2006 l’inchiesta “Missing” gli presenta il conto per il duplice omicidio dei fratelli Bartolomeo. Nuova fuga, stavolta più duratura, e per i successivi sedici anni su di lui cala il sipario. Il resto è solo attualità. Ancora tutta da raccontare.