«Gentile» e «simpatico», ma soprattutto «cuoco eccellente».  In Francia, la reputazione di Edgardo Greco era davvero sopraffina. I suoi clienti lo adoravano. I colleghi idem e così i datori di lavoro che hanno avuto a che fare con lui durante i suoi sedici anni trascorsi sotto mentite spoglie.

L’adorabile Rocco

Oltralpe, infatti, Greco si qualificava come Paolo Dimitrio, emigrato dalla Puglia e di professione chef, ma per amici e conoscenti era semplicemente Rocco. Nessuno di loro, va da sé, immaginava di avere davanti un ergastolano in fuga con trascorsi da ndranghetista e da collaboratore di giustizia. «Un ragazzo adorabile», due giorni dopo il suo arresto lo definiva così la titolare di un ristorante di Lione, la prima città in cui l’ex killer delle carceri ha dimorato per circa un anno. «Un bonbon» sottolineava la donna, segno di come stavolta la retorica del buon vicinato e del «salutava sempre» c’entri poco: Paolo detto Rocco, già Edgardo, s’era fatto volere bene. Per davvero.

Il risotto del latitante

Nei suoi riguardi, dunque, solo benevolenza e recensioni positive. A raccogliere queste impressioni, dopo che la verità è venuta a galla, sono stati i giornalisti di Le Progrès, il quotidiano che nel 2021 aveva realizzato un servizio sull’attività di ristorazione dell’ex affiliato del clan Perna-Pranno. «La sua specialità erano le pizze» ricorda un altro dei suoi colleghi, mentre per la rivista Lyon people come lo preparava lui «il risotto ai porcini», nessuno. Odori, anzi sapori di normalità. A riprova di come, con ogni probabilità, quello arrestato lo scorso 2 febbraio fosse ormai un uomo molto diverso da quello degli anni ruggenti.

L’affronto al dente

Alcuni resoconti di stampa francesi la buttano sull’ironia. Quando i giudici transalpini bloccano il rimpatrio immediato di Greco, ancora Lyon people riporta la notizia con questo titolo: «Il pizzaiolo mafioso umilierà una seconda volta l’Interpol e la Giustizia italiana?». La prima, secondo il magazine, consiste nel fatto che per almeno un anno gli investigatori lo hanno avuto davanti al loro naso senza accorgersene.  Greco, infatti, lavorava in una pizzeria lionese ubicata a soli tre chilometri dalla sede dell’Interpol, circostanza che induce il cronista a una riflessione: «Non è escluso che gli stessi poliziotti che lo inseguivano, abbiano assaporato le sue pizze e i suoi buonissimi risotti. Il che, diciamocelo, è un affronto al dente».

Una “couille” nella pizza

Anche il suo difensore d’ufficio, Benoit Courtin, ha fatto qualche concessione al sarcasmo. Dopo aver sollevato in aula la questione che per ora blocca l’estradizione di Greco (la richiesta è stata riproposta ed è tuttora pendente), rilascia una dichiarazione trionfante a siti e giornali: «Pare ci sia un testicolo – una couille – nella pizza ai tre formaggi». Si tratta di un’espressione tipicamente francese – «C’è un testicolo nel formaggio» – che è un po’ l’equivalente del nostro «Houston, abbiamo un problema». Courtin italianizza la metafora con il richiamo alla «pizza» e non è chiaro se sia lui o il giornalista – dall’articolo non si comprende – a definire poi questa battuta come un esempio di «trivialité carabiniére», traducibile più o meno come «volgarità sbirresca», a suo dire «di moda nelle carceri italiane». Voleva essere spiritoso. Voleva.