mercoledì,Aprile 23 2025

Soldi al giudice per assolvere il boss, condannato Marcello Manna

Due anni e otto mesi a lui e a Petrini per corruzione in atti giudiziari senza le aggravanti mafiose, scatta la sospensione dalla carica di sindaco di Rende

Soldi al giudice per assolvere il boss, condannato Marcello Manna

Due anni e otto mesi di condanna per Marcello Manna e Marco Petrini per corruzione in atti giudiziari, ma senza le aggravanti delle finalità mafiose. È la mazzata piovuta addosso al sindaco di Rende – per lui ora scatterà la sospensione – condannato a Salerno per la presunta bustarella da cinquemila euro consegnata il 30 maggio del 2019 al suo coimputato, allora giudice della Corte d’appello di Catanzaro, con l’obiettivo di far assolvere Francesco Patitucci.

Leggi anche ⬇️

L’ipotesi è che Manna lo abbia fatto in qualità di avvocato difensore del boss cosentino, all’epoca alla sbarra per un omicidio consumato nel 2013 in un contesto di mafia, quello di Luca Bruni, e già condannato in primo grado a trent’anni di carcere. Alla fine Patitucci otterrà l’assoluzione, con sentenza poi confermata anche in Cassazione, circostanza che non farà diradare le ombre ormai addensatesi su quel processo.

L’ombra principale è il video che immortala il sindaco di Rende nella stanza di Petrini, intento a consegnargli una cartella di colore bianco sette mesi prima del verdetto d’Appello. A quel tempo l’ufficio del giudice è sorvegliato dalle telecamere della guardia di finanza che, su delega della Dda, indaga sul mercimonio di sentenze che, in seguito, Petrini ammetterà di aver messo in piedi, dispensando assoluzioni compiacenti in cambio di denaro e altre regalie. Un giro dal quale Manna si è sempre dichiarato estraneo. In quella cartelletta, sosterrà a spron battuto nei mesi successivi, c’erano solo una sentenza della Cassazione e un invito per un’iniziativa della Camera penale di Cosenza. A tirarlo in ballo, però, sarà proprio Petrini, seppur con dichiarazioni molto controverse.  

Leggi anche ⬇️

Nel corso del tempo, infatti, il magistrato reo confesso ha puntato il dito contro altri avvocati, politici e finanche diversi suoi colleghi del distretto catanzarese, adombrando l’esistenza di un giro di corruzione molto più ampio all’ombra degli uffici giudiziari di Catanzaro. Parte di queste accuse le ha poi ritrattate, altre sono state smentite dalle evidenze, e così al momento in piedi sono rimaste quelle mosse contro Manna. Anche in questo caso, però, con più di qualche tormento.

Non a caso, davanti ai magistrati di Salerno l’ex giudice nega inizialmente di aver ricevuto denaro dal sindaco rendese, poi conferma ma indicando una causale diversa – favorire il dissequestro dei beni di un altro suo cliente – e infine riconduce il tutto all’affaire Patitucci. Una progressione che, in passato, ha indotto Manna a ipotizzare l’esistenza «di un teorema politico-giudiziario contro di lui».

In precedenza, sempre nell’ambito di questa vicenda, Marcello Manna era stato colpito da una misura interdittiva che gli ha impedito per alcuni mesi di esercitare la professione di avvocato. Il provvedimento era stato poi revocato, ma due giorni fa è tornato in vigore per volontà del Riesame. Quella che lo riguarda è una sentenza di primo grado, la sua linea difensiva sarà riproposta in Appello, ma nel frattempo scattano gli effetti della legge Severino: è sospeso dalla carica di sindaco e anche da quella di presidente di Anci Calabria. 

A margine dell’udienza, i suoi difensori – gli avvocati Nicola Carratelli e Riccardo Olivo – hanno rilasciato dichiarazioni, sostenendo di aver appreso «con vivo stupore e rincrescimento della sentenza del gup – il processo si celebrava in abbreviato, ndr – avendo esposto e dimostrato documentalmente plurime ragioni per le quali l’ipotesi accusatoria non poteva affatto essere ritenuta fondata».

I due evidenziano come la decisione abbia «notevolmente ridimensionato le richieste di condanna del pm» (per Manna erano stati chiesti sei anni di carcere e per Petrini otto) ed è «evidentemente frutto di una considerazione della vicenda protesa verso le tesi accusatorie, peraltro in maniera illogica e contraddittoria perché nei confronti di coloro che dovevano essere concorrenti nel reato, ossia l’avvocato Gullo e lo stesso Patitucci, la Procura di Salerno aveva richiesto ed ottenuto decreto di archiviazione». I difensori preannunciano, ovviamente, appello avverso quello che definiscono «un evidente e grave errore giudiziario».