Voto di scambio a Rende, ecco perché Orlando Scarlato lascia gli arresti domiciliari
Secondo il Riesame non si evince dunque da nessun passaggio captativo il contributo dell'imputato all'ipotizzato patto elettorale
Si aggiunge un altro tassello nella complicata vicenda giudiziaria che coinvolge Marcello Manna, Pino Munno e, tra gli altri, i fratelli Massimo e Adolfo D’Ambrosio. E la novità odierna riguarda la posizione cautelare di Orlando Scarlato, finito agli arresti domiciliari il 1 settembre scorso su decisione del gip distrettuale di Catanzaro Alfredo Ferraro. Oltre dieci mesi sottoposto a misura cautelare per scoprire alla fine che, ad oggi, sono caduti i gravi indizi di colpevolezza, anche grazie alle valutazioni in diritto enunciate dalla Cassazione, la quale aveva annullato con rinvio l’ordinanza di conferma del Riesame di Catanzaro.
Cosa contesta la Dda di Catanzaro ad Orlando Scarlato
Ad Orlando Scarlato viene contestato di aver agito in qualità di intermediario e comunque presunto concorrente nell’ambito di un illecito accordo intercorso tra Marcello Manna, candidato a sindaco del comune di Rende alle elezioni del 2019, Adolfo e Massimo D’Ambrosio, presunti esponenti di vertice della locale cosca di ‘ndrangheta.
Secondo la Dda di Catanzaro, la presunta cosca D’Ambrosio, avvalendosi “del metodo mafioso”, avrebbe fatto confluire voti sul candidato sindaco a fronte della promessa di affidare al gruppo l’esecuzione dei lavori del Palazzetto dello Sport di Rende nonché la conduzione delle attività commerciali che sarebbero state aperte all’interno del palazzetto medesimo.
Le motivazioni del Riesame di Catanzaro
Secondo le richiamate sentenze della Cassazione, circa la configurabilità del reato e delle condotte contestate ad Orlando Scarlato, il Riesame di Catanzaro, condividendo le ragioni difensive esposte dall’avvocato Gianluca Garritano, ritiene che le evidenze ricavabili dal materiale intercettivo non sono tali da sostenere il prescritto vaglio di qualificata probabilità di colpevolezza dell’indagato. E ciò si evince dalle intercettazioni citate nel ricorso, dove Orlando Scarlato, «in virtù del profondo rapporto personale che lo legava al boss», avrebbe coadiuvato D’Ambrosio nel fissare appuntamenti che, secondo l’ipotesi d’accusa, sarebbero stati necessari a veicolare le preferenze elettorali verso liste collegate al sindaco uscente Manna.
Per il Riesame di Catanzaro, le conversazioni non offrono invece elementi univocamente indicativi della consapevolezza di Orlando Scarlato in merito alle pregresse e accertate relazioni di Massimo D’Ambrosio e Pino Munno, né allo scopo dell’incontro. A tal proposito, relativamente agli incontri che sarebbero stati organizzati nell’ambito di quelle presunte attività illecite, «non vi è prova – scrive il Riesame – che tale incontro sia avvenuto né che l’interlocutore principale di Scarlato fosse proprio Munno, non essendo stati registrati contatti diretti tra i due». In realtà, quella riunione – evidenzia sempre il Riesame – sarebbe avvenuta il 24 aprile 2019 all’interno del plesso urbano “Villaggio Europa” di Rende, «alla presenza di D’Ambrosio, Perri e Munno».
In poche parole, il Riesame si è convinto che Orlando Scarlato non fosse affatto consapevole delle presunte finalità illecite perseguite da Massimo D’Ambrosio. E per dare forza al ragionamento, i giudici hanno richiamato anche il nuovo provvedimento cautelare emesso il 25 maggio 2023 a carico di Marcello Manna, reputando insufficiente il quadro indiziario acquisito a carico del politico. Non si evince dunque da nessun passaggio captativo il contributo di Orlando Scarlato all’ipotizzato patto elettorale.