“Reset”, la Cassazione non ha dubbi: «I clan cosentini dominano il territorio»
I giudici di legittimità: «Le vittime percepiscono quelle situazioni di assoggettamento ed omertà tipiche di chi è vittima di attività poste direttamente in essere dalle organizzazioni mafiose»
Sebbene la Suprema Corte di Cassazione abbia annullato con rinvio tante ordinanze del Riesame di Catanzaro, e in alcuni casi abbia addirittura annullato senza rinvio, disponendo l’immediata scarcerazione delle persone coinvolte in “Reset“, i giudici di legittimità hanno sostanzialmente confermato tutto l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro, almeno dal punto di vista cautelare. E lo hanno fatto analizzando le motivazioni del Tdl di Catanzaro, il quale aveva confermato la custodia in carcere dei soggetti accusati sia di associazione mafiosa che di associazione a delinquere dedita al narcotraffico.
Le udienze al “Palazzaccio” si sono svolte da fine gennaio ad inizio maggio, periodo nel corso del quale la sesta sezione penale ha approfondito le vicende investigative, giungendo a una conclusione che, come detto, non scalfisce di un millimetro il teorema dei magistrati Nicola Gratteri, Vincenzo Capomolla, Vito Valerio e Corrado Cubellotti. Motivazioni che in maniera quasi univoca sono state adottate sia per giudicare i presunti esponenti della confederazione mafiosa cosentina, organizzata in sette “sotto gruppi” tra Cosenza, Rende e Roggiano Gravina, che per evidenziare le presunte condotte illecite degli “zingari” di Cosenza in ordine al traffico di sostanze stupefacenti in tutto il circondario cosentino.
Nel confermare quindi la misura cautelare della custodia in carcere a uno dei presunti partecipi del gruppo organizzato e diretto da Adolfo D’Ambrosio, la Cassazione ritiene che «il Tribunale (del Riesame, ndr) ha rappresentato che i fatti in esame sono esemplificativi di un generalizzato contegno prevaricatorio finalizzato a dimostrare la forza del clan e il dominio sul territorio, grazie al quale il ricorrente si è sentito legittimato ad agire e a intimidire le vittime e dunque dimostrativo del dolo intenzionale. Si tratta di metodo indubbiamente percepibile dalle vittime ed obiettivamente caratterizzato da una forza intimidatoria di particolare cogenza al punto da instillare nelle stesse quelle situazioni di assoggettamento ed omertà tipiche di chi è vittima di attività poste direttamente in essere dalle organizzazioni mafiose». Parole usate per descrivere una presunta estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ma ciò si evince anche dai ricorsi rigettati (e dichiarati pure inammissibili) riconducibili all’operatività criminale della cosca “Lanzino-Patitucci” di Cosenza o di quella dei “Banana“.
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