Cosenza, cos’è cambiato un anno dopo “Reset”: pentiti, omertà e nuovi equilibri
Pochissime costituzioni di parte civile. Un segnala non positivo che allontana il concetto di "occupare" gli spazi liberati dalla magistratura
“Reset” un anno dopo. L’1 settembre 2022, intorno alle 3 di notte, scattava l’ormai nota maxi indagine della Dda di Catanzaro contro i vertici della ‘ndrangheta cosentina. Oltre 200 arresti tra Cosenza, Rende, la zona della Valle dell’Esaro e altri territori limitrofi. Un vero e duro colpo alle associazioni mafiose presenti sul territorio. Ma 365 giorni dopo cos’è davvero cambiato? Forse troppo poco. Come abbiamo documentato in un altro servizio, le costituzioni di parte civile, ad eccezione degli Enti e dell’associazione anti-racket, sono state irrisorie. E questo non è un segnale positivo.
Prevale l’omertà
Già nella fase delle indagini preliminari i pubblici ministeri Corrado Cubellotti e Vito Valerio avevano preso atto del muro d’omertà di chi aveva subito danneggiamenti. I numeri ufficiali parlavano di 124 episodi, dei quali 8 a seguito di incendio, per i quali erano state arrestate, in quel periodo, soltanto tre persone e deferite in stato di libertà altre 8.
Non confortante neanche il numero delle denunce per estorsione. Solo nove rispetto a un numero molto elevato di tentativi di chiedere il “pizzo”, che in quella fase aveva portato all’arresto di una persona e al deferimento in stato di libertà di altre quattro. «Tale dato – scrivevano i magistrati antimafia di Catanzaro – basta ad evidenziare il diffuso senso di omertà in cui versa la popolazione della provincia, dovuto essenzialmente alla paura di ritorsioni da parte dei clan ed alla generica sfiducia nei confronti dell’operato delle forze dell’ordine e della giustizia».
«Del resto – affermano i titolari della maxi inchiesta “Reset” – proprio le perpetrazioni di efferati reati-fine quali le estorsioni, l’usura, ma anche la fittizia intestazione dei beni, per la loro stessa natura, contengono in sé gli elementi che determinano nella popolazione un profondo senso di impotenza che si traduce inevitabilmente in una stratificata e rassegnata condizione di assoggettamento». Omertà quindi ancora diffusa tra i commercianti, tra gli imprenditori o tra i semplici cittadini, per lo più “sotto strozzo”.
Spazi liberati ma non “occupati”
Gli spazi liberati dalla magistratura, come più volte ha evidenziato il procuratore Nicola Gratteri, sono stati occupati da chi intende sovvertire l’ordine delle cose? Si fa fatica a vedere un cambiamento. E non parliamo soltanto di denunce, ma soprattutto nel campo del traffico di droga. Una società civile può consentire tutto ciò? Ci sono legami ad oggi che neanche le forze dell’ordine sono riuscite a rompere. Per 100 arresti che si eseguono, ci sono altrettante persone, causa lo stato di disoccupazione, disagio e altro, pronte a servire la ‘ndrangheta, rischiando sulla propria pelle.
I pentiti
Un minimo contributo lo hanno dato i collaboratori di giustizia, i quali accusano ovviamente sempre dopo aver commesso reati insieme agli altri ex sodali. Questo tuttavia può essere utile a prevenire ulteriori eventi delittuose sempre che carabinieri, polizia e finanza abbiano gli strumenti per contrastare il Crimine organizzato. Non si possono mettere in discussione le intercettazioni per reati di tipo mafioso. Proprio in “Reset” si è visto come gli esponenti della ‘ndrangheta cosentina parlassero spesso con il cellulare, cambiando spesso schede. Ipotizzavano infatti di eludere le captazioni, mentre le “attenzioni investigative” erano rivolte all’apparecchio telefonico. Grazie a queste intercettazioni, senza dimenticare quelle ambientali, la Dda di Catanzaro ha costruito un puzzle accusatorio solido, non scalfito dalla Cassazione, se non per alcune posizioni “minori”.
Il futuro
A Cosenza e dintorni ci sono nuovi equilibri? A leggere le dichiarazioni spontanee del boss Francesco Patitucci e del suo “braccio destro” Michele Di Puppo, la situazione potrebbe essere identica a quella di prima. Con gli “italiani” sempre un passo avanti agli “zingari“, i quali proseguono, come dimostrano altre indagini della Dda di Catanzaro, nella vendita degli stupefacenti. Il futuro dunque non dovrebbe regalare grosse sorprese.
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