Rimarrà sempre il dubbio se dietro il “passo indietro” di Roberto Porcaro ci sia l’inaspettato, forse per l’ex “reggente” del clan “Lanzino-Patitucci” di Cosenza, pentimento di Francesco Greco. La Dda di Catanzaro, tra il “non detto” della requisitoria di “Reset“, ha fatto capire che non si fidava sin dalle prime battute di Porcaro. E quando è arrivato il momento propizio ha “chiuso le porte“, rigettando probabilmente qualche richiesta giunta dall’allora pentito. In effetti, Francesco Greco, di professione imbianchino, ha raccontato tante cose che Porcaro non ha dichiarato o che ha riferito in un altro modo.

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Uno dei temi su cui Greco ha rilasciato più di una dichiarazione è senza dubbio quello legato alla posizione di Giuseppe Caputo, imprenditore operante nei servizi di security per grandi eventi pubblici e privati. In questo caso il pentito di Cosenza ha spiegato, dal suo punto di vista, quali erano i rapporti tra Greco e Porcaro. Conoscenza d’interessi che viaggiava su due binari: presunto compartecipe e vittima di usura ed estorsione. Due cose chiaramente in aperto contrasto. Sul punto Greco ha esteso le sue dichiarazioni sia verso le Serre Cosentine che sulla costa jonica.

Security imposta da Marano a Corigliano Rossano

Secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia Francesco Greco, «la società di Giuseppe Caputo» sarebbe stata imposta anche a Marano Marchesato, «in occasione di una festa patronale», dove «mi recai personalmente in compagnia di Giuseppe e Carmine Caputo e lì incontrai anche Ivan Barone» il quale avrebbe parlato a sua volta con gli organizzatori dell’evento, «imponendo la società di Caputo per i successivi eventi».

Greco inoltre ha precisato che «l’esclusiva di Caputo si estendeva anche nei comuni da Fuscaldo a salire, fino a Praia a Mare, dove Giuseppe Caputo si interfacciava direttamente» con un esponente della famiglia Muto di Cetraro, presentatogli da un altro soggetto. Greco ha sostenuto quindi che «era direttamente Giuseppe Caputo a spendere il nome di Roberto Porcaro e dell’associazione cosentina. Giuseppe Caputo, era pienamente consapevole di ottenere questi servizi grazie all’intervento dell’associazione ed egli inoltre imponeva direttamente le estorsioni ai proprietari dei locali», mentre lo stesso Caputo, nell’esame del processo abbreviato, ha chiarito che la sua società è l’unica a poter partecipare ad alcuni eventi in quanto in possesso di tutte le licenze prefettizie.

Sempre secondo Greco, l’imputato Giuseppe Caputo «imponeva il numero del personale da impiegare nel servizio e il prezzo da pagare per ogni singolo lavoratore, che, di fatto, era maggiorato della quota fissa che era destinata all’associazione, pari a 20 euro per singolo lavoratore impiegato».

La security a Corigliano Rossano

Greco però ha parlato anche dei presunti interessi di Caputo sulla costa jonica cosentina. «Sono a conoscenza che Giuseppe Caputo effettuava la sicurezza» presso una nota discoteca situata a due passi dal centro commerciale “I Portali” “e ad altri locali della medesima zona in cui lo stesso Caputo lavorava assiduamente. Preciso che l’imposizione da parte dell’associazione si realizzava, oltre alla spendita del nome da parte di Caputo, anche attraverso il fatto che se un locale non avesse impiegato la società di Caputo nella sicurezza, avrebbe subito comportamenti rissosi organizzati dai medesimi associati, in particolare dagli “zingari“».

La presunta aggressione ad Attilio Chianello

Caputo, altresì, ha riferito di un altro fatto legato alla questione della security. «Nel 2021, Roberto Porcaro era detenuto, e Michele Di Puppo, Antonio Illuminato e Francesco De Luca hanno picchiato pesantemente Attilio Chianello che, contravvenendo al favore che l’associazione aveva nei confronti di Giuseppe Caputo, stava favorendo l’ingresso nel servizio di sicurezza per il “Settembre rendese“» di un altro soggetto. Ed infine, ha svelato Greco, «Caputo manifestava sempre una smania crescente di ottenere i servizi di sicurezza, addirittura anche nei confronti di suo fratello Carmine, allorquando questi provava a ritagliarsi uno spazio autonomo di lavoro, come nel caso in cui aveva iniziato a lavorare» in un locale della movida rendese.